@alessandro_mannucci è il mio profilo personale su Instagram da 10 anni. Cioè, era. Da 48 ore non esiste più. Avevo 4700 followers, non tanti (anche se qualcuno davvero di alto profilo) e fondamentalmente lo usavo solo per cazzeggiare e dare sfogo alle mie conclamate ossessioni (la tv, la musica, i comici, le chitarre, il cibo, il Giappone, il podismo) sta di fatto che desta meraviglia come qualcosa di cosi radicato nel mio quotidiano, qualcosa su cui, senza accorgermene, ho sprecato ore, mesi, anni di vita scrivendo, scrollando e commentando per circa un decennio possa cessare di esistere in un paio di minuti. Certo, OVVIAMENTE c’è di peggio nella vita: c’è la guerra, la malattia, la povertà. Ma sono rimasto leggermente disorientato l’altra sera quando ho realizzato (troppo tardi, come sempre troppo tardi) di essere caduto in una bieca operazione di phishing. Io che avevo sempre fatto vanto della mia sospettosità quando mi arrivavano sms sgrammaticati in cui mi si chiedeva di “fornire le mie credenziali di accesso per recuperare il pacco in giacenza” o altri ermetici tipo “clicca qui per recuperare la password del tuo account”. Ma andiamo con ordine.
Sono positivo al Covid da una settimana. Fortunatamente: 1) mia moglie e mia figlia sono nella di lei terra natia, il Salento; 2) sono plurivaccinato quindi non ho sintomi di sorta. Però purtroppo non c’è vaccino contro la cattività forzosa, contro la rottura di coglioni atavica che ti attanaglia le gonadi quando percorri incessantemente i tuoi 90MQ come un criceto idrofobo in gabbia, contro l’imbruttimento che ti fa regredire agli interminabili pomeriggi senza dio negli alloggi universitari in affitto di oltre due decenni fa: abbigliamento a base di mutande e magliette dell’Eurospin, pranzi con pancarré, pezzi di formaggio vecchio e cracker scaduti da una settimana, ciabatte anche mentre dormi, etc.
Per scuotermi dall’apatia una sera guardo una serie coreana di zombi e stappo la vodka. Senza accorgermene sono all’episodio 4 e la bottiglia ormai è a metà. Mi trascino a letto ma, come sempre da quando sono genitore, anche in assenza di prole mi sveglio dopo qualche ora. Gonfio e rincoglionito, cerco a tentoni il telefono nel lato del letto dove di solito c’è mia moglie per capire che ore sono. Le 2. Un secondo riflesso condizionato mi spinge meccanicamente ad aprire Instagram e a quel punto lo vedo: un messaggio in DM proprio dal signor Instagram. In un inglese scolastico e con una formattazione approssimativa (i classici segnali di una trappola digitale) Instagram stessa m’informa di una mia presunta violazione di copyright: se non compilerò il forum con la mia mail e la password di accesso a Instagram il mio account sarà cancellato. In preda a una sorta di trance febbrile, uno stato sospeso tra il sonno e la veglia, in due secondi inserisco mail e password, “così, de botto, senza senso”. Come per gli incidenti stradali, gli infortuni o i terremoti (tutte esperienze da me peraltro vissute in prima persona) ogni cosa si svolge in modo straordinariamente nitido e rapido: mi arriva una mail da instagram che mi segnala che ho cambiato l’indirizzo email (adesso è ahncdog@hi2.in). Provo velocemente ad accedere di nuovo al mio profilo ma non posso. A quel punto, con la prontezza di riflessi del Fortunadrago de “La Storia Infinita” dopo un grappolo d’ictus, realizzo la terribile verità: l’hacker indonesiano si è servito di quest’esca per strapparmi le credenziali d’accesso al mio profilo, che adesso è il suo profilo, anche se ci sono foto di me con varia gente della tv, di mio padre, di me a torso nudo, di me che suono male col mio socio Auroro Borealo, etc. Per la precisione non me le ha strappate, gliele ho date io. Cosa penserebbe di me Aranzulla?
La cosa strana è che sono euforico, stranamente divertito dalla situazione. Forse è l’alcool. Ci sto pensando quando mi arriva un messaggio su WhatsApp. L’inglese è lo stesso malfermo del messaggio sul mio ormai ex profilo: “se paghi ti darò indietro l’account”. Provo il rapido brivido di terrore che ci percorre tutti ogni volta che scoprono che uno sconosciuto ha violato la loro privacy, prima di ricordarmi che nel mio profilo avevo segnato anche il mio numero di telefono. Cosa penserebbe di me mia figlia? Che sono un coglione ovviamente (mia figlia ha 4 anni).
Comincio a ridere pensando che sto vivendo in una specie di remake low budget di "Ransom - Il Riscatto", il film con Mel Gibson diretto da Ron Howard del 1996. Solo che qui invece di mio figlio hanno rapito la mia identità digitale (giustamente la mia reale non la vuole un cazzo di nessuno).
Da negoziatore esperto, una sorta di Denzel Washington dopo un embolo, rispondo al rapitore:
-“Giusto per curiosità, quanti soldi vorresti?”
-“150$”
- “[emoticon della faccina che ride con le lacrime] te ne do 20, il mio profilo ne vale sicuramente meno”
- “trattiamo: 100$”
Ok, io pensavo di essere il protagonista di un cyber thriller in cui dall’altra parte dello schermo c’è un superhacker rintanato in un quartiere dormitorio di Seoul e interpretato da Gong Yoo di Squid Game. Il fatto che abbia abbassato la taglia di un terzo così facilmente smorza il mio entusiasmo, forse è solo un coglione. Certo Mannu che è meno coglione di te, a lui il profilo non l’hanno fregato.
Faccio una controfferta:
- “15$”
- “[emoticon della faccina che ride con le lacrime]”
- “Puoi tenerti il mio account. Divertiti”
- “Sicuro di non pagare? Altrimenti né te né nessun altro vedrà mai più il tuo account”.
Spengo il telefono. Mi è tornato sonno. Fiero di aver risposto al ricattatore come Les Grossman, il ripugnante magnate dei media nel film "Tropic Thunder" (forse la migliore interpretazione in carriera di Tom Cruise), quando urla ai rapitori di Ben Stiller “NOI NON TRATTIAMO COI TERRORISTI!” mi addormento. L’indomani ci metto un po’ a ricordare quello che è successo. Quando sento mia moglie verso le 10 e gli racconto gli eventi occorsi nella notte, sono comprensibilmente soddisfatto: lei che sosteneva che io fossi sempre compulsivamente attaccato a Instagram ora deve fare i conti col fatto che me l’hanno hackerato e a me fondamentalmente non me ne frega un cazzo. Ovviamente questa sensazione di euforia dura poco perché Caterina fa benissimo il suo lavoro nella nostra coppia: tenermi ancorato alla realtà. “E se ha la tua email e il tuo telefono non può aver accesso a altri account tuoi?” Ovviamente ha ragione (mia moglie ha sempre ragione, la odio e la amo per questo, come diceva Catullo). Chiamo la polizia postale che mi dice quello che sospetto, cioè che non può fare niente, l’unico modo in cui si può procedere è sporgendo denuncia contro ignoti andando fisicamente in un commissariato. Ma sono positivo, in pigiama da 72 ore di fila. “eh allora niente. Nel frattempo può fare una segnalazione su instagram”. La faccio, l’impressione però è quella che abbia la stessa utilità della scritta “SIAMO ANDATI A NORD” sulla fiancata del rottame di un aereo precipitato da pochissimo che lasciano i protagonisti di un survival movie prima di venire decimati da lupi, crepacci, bufere e una tribù di indigeni antropofagi.
Scrivo al mio social media manager personale, Auroro Borealo, che paternalmente, come si fa coi cuccioli di anziano mi tranquillizza (anche se io sono calmissimo) dicendomi che il profilo lo recupererò e mi consiglia nel frattempo di farne uno nuovo. Scelgo come nome MANNUCCIGRAM e sono abbastanza soddisfatto, quindi procedo a notificare a tutti i miei ex contatti con dei messaggi in DM che questa è la mia nuova pagina e che la vecchia è ostaggio di un terrorista sudcoreano. Ma se l’assistenza di Instagram è cieca, i segugi antispam di Instagram ci vedono benissimo: tutto quel postare messaggi in DM è interpretato dalle loro stringhe di codice come il classico modus operandi di un malintenzionato che fa phishing. Praticamente vengo scambiato per il soggetto di cui sono rimasto vittima e il mio profilo viene bloccato. Un messaggio m’informa che se rispetterà le linee guida della community sarà riattivato nelle prossime 24 ore. E’ tutto troppo bello per essere vero. Rido mentre lo dico ad Auroro, che ride più forte e mi fa “questa la devi raccontare!”. Lo sto facendo amico.
Nel frattempo il rapitore ha fatto la sua mossa. Su uno sfondo fucsia scrive in bold italic: “lasciate che il proprietario di questo account mi contatti, gli restituirò l’account in cambio di denaro”. Gli rispondo con l’altra pagina che ho su instagram, Chitarre Brutte (ogni giorno posto una chitarra brutta e racconto la sua storia).
- “Ti ho già detto che puoi tenerti l’account”
- “Sei sicuro? Se non paghi il tuo profilo sparirà per sempre”
- “Sicuro grazie”
- “Allora lo disattiverò ma prima trufferò tutti i tuoi amici”
- “Accomodati ma ti avverto: i miei amici sono tutti più intelligenti di me”.
Arriviamo a ieri mattina, quando il sequestratore di profili ha già spammato il suo messaggio-civetta a tantissimi miei contatti. Non ci casca nessuno. Alle 9 del mattino ho già whatsapp che trabocca di messaggi di amici allarmati: “Ma ti hanno hackerato il profilo?”, “Che succede?”, “Tutto bene?!?!”. Spiego in modo succinto quello che ho raccontato più sopra. La tentazione di dare la colpa alla mancanza di sonno e alla vodka è fortissima ma resisto e chiaramente ammetto la mia totale ingenuità nell’aver dato mail e password a uno stronzo qualunque, un comportamento indifendibile.
Nel frattempo sono trascorse 24 dall’esilio del mio neonato secondo profilo, MANNUCCIGRAM, quindi accedo e scopro che “non rispetta le nostre linee guida, quindi verrà disattivato”. Il mio primo profilo sulla piattaforma è durato 10 anni, il mio secondo 1 giorno. Forse, come dice il mio amico Ciro Priello, “fa tutto parte di un piano”, forse Instagram per me ha fatto il suo tempo. E’ che mi sento troppo vecchio per Tik Tok (in realtà solo troppo pigro ma dopotutto è la stessa cosa).
Nel corso della giornata il mio ex profilo muta: prima il sequestratore inizia a postare una serie di foto tutte uguali del suo “logo”, poi rimuove tutte le mie foto e rinomina il profilo “metalivebusinesschannel” ma dura una manciata di minuti: viene segnalato in massa dai miei seguaci e sprofonda nelle tenebre. Bel lavoro ragazzi. Ed ora posso dedicarmi finalmente a risorgere (peraltro in leggerissimo anticipo rispetto al risorto più famoso) con il mio nuovo profilo Instagram: MANNUCCISOLUOMORAGNO. Sono particolarmente fiero del nickname perché racchiude il mio cognome, allude alla perdita del mio precedente account ed è anche un omaggio al Max Pezzali delle origini, quando la vita era più semplice.
Di tutta questa vicenda mi restano impresse soprattutto due cose:
- Le reazioni sconvolte di parecchi miei amici quando ho raccontato loro della perdita del mio account. Si è levato un coro di “Noooo! E adesso come fai?”. Beh, come ho fatto anche prima di essere su un social network. E’ solo un account che oltretutto nel mio caso non era nemmeno uno strumento di lavoro, altrimenti avrei fatto la famigerata autenticazione a due fattori (che uso, ma solo per accedere a documenti e cose bancarie, non certo per proteggere le foto dei piatti di gricia da 300 grammi di Camionisti in Trattoria). “Ma tutte le tue foto? Tutte le tue cose private?”. Beh, il fatto di averle postate significa che per me tutto sommato non erano tanto private (e le foto le ho ancora tutte nel telefono). E’ banale da dire ma credo sia importante continuare a dare priorità alla vita reale rispetto a quella digitale (ottimo Mannu, questa si è una bella prova di maturità, dopotutto sei giovane, hai solo 47 anni). In fondo quando Instagram non ci sarà più noi ci saremo ancora (oddio, forse io no).
- Per essere un’azienda che fattura miliardi coi nostri dati sensibili, Instagram ha un servizio assistenza che fa cacare il cazzo fortissimo (eufemismo). E’ un po' come comprare il McBook Pro più fico del mondo e poi, chiamata l’assistenza clienti, interfacciarsi con Lello l’ubriaco che spende le 20 euro della sim per comprarsi il vino di Mimmo Modem. Non benissimo.
Ok, se siete arrivati fin qui a questo punto potete anche seguirmi su Instagram, sono @mannuccisoluomoragno (esatto, era questo il vero scopo di questo articolo).