Contronatura? Sono quei fatti sanguinari nei quali l’assassina è la madre e la vittima è suo figlio. O i suoi figli, come nel caso di Monia Bortolotti, una donna di appena ventisette anni, indiana, cresciuta a Gazzaniga da una coppia di genitori adottivi. Monia è stata arrestata con l'accusa di duplice omicidio volontario per aver ucciso i figli Alice e Mattia ad un anno di distanza l'una dall'altro. Prima la bambina quando aveva solo quattro mesi. E poi il bambino, quando di mesi ne aveva solamente due. Era il 27 ottobre di un anno fa. Secondo la Procura, avrebbe ucciso Mattia stringendolo con forza fino a farlo soffocare, mentre avrebbe usato un cuscino per Alice. Prima che lo possiate pensare. No, in questo caso non è possibile scomodare il paracadute della pazzia. Non è possibile farlo anche se è più comodo credere che dietro gesti così inconsulti non possa esserci altro che una patologia. Del resto, la cronaca degli ultimi vent’anni ci sta abituando a fatti del genere. Ed anche questa volta, come è stato di recente per Martina Patti ed Alessia Pifferi, la Procura sembra avere le idee chiare. I due bambini sono stati soffocati da Monia perché non riusciva a tollerare i loro pianti disperati.
Per quanto drammatico da accettare, è altamente verosimile che la donna li abbia uccisi in modo deliberato, cosciente, attivo. Nella sua testa i figli erano capi espiratori di tutte le sue frustrazioni. Gli attribuiva la causa della sua infelicità. Per quelle due gravidanze aveva smesso di ballare, aveva rinunciato alla sua più grande passione e questo era intollerabile. Per intenderci, nei primi mesi di vita il pianto di un bambino appare spesso inconsolabile. Ma del resto quello è l’unico modo che ha per comunicare. Ogni madre ne è consapevole. Dunque, bisogna imparare a chiamare le cose con in loro nome. Ritengo che in questo caso si possa e si debba parlare di un infanticidio prolungato. Iniziato con Alice e terminato con Mattia, nato probabilmente da quella che nella sua testa poteva essere una gravidanza riparatrice. Una gravidanza portata a termine per redimersi da una colpa che però poi ha reiterato. Per soffocarlo, Monia ha atteso di rimanere da sola nell’abitazione. Così, ha realizzato il piano che aveva elaborato. E lo ha fatto al secondo tentativo, visto che già quando il piccolo aveva ventuno giorni era stata lei ad accompagnarlo in ospedale perché non respirava. E proprio in ospedale lo psichiatra che l’aveva attenzionata dietro spinta dei medici aveva escluso la presenza di patologie. Ma aveva suggerito che non venisse lasciata sola con il bambino. Un appello rimasto inascoltato. Un presagio, con il senno di poi. Ma se una donna non ha nessuna capacità materna ed è talmente crudele, cinica e senza cuore da diventare una carnefice fino ad essere assassina, perché non viene fermata in tempo?
Certamente, la mancanza di amore, di tenerezza, di uno sguardo d'affetto privano il neonato prima ed il bambino poi del più essenziale dei nutrimenti. È innegabile. Essere madri è anche faticoso. Richiede sacrifici, non solo di tempo, e rinunce. Chiede padri che sappiano esserlo. Famiglie disposte ad aiutare. E una società meno farisea. Dovremmo essere tutti più vigili. Ce ne accorgiamo sempre dopo, quando ormai è troppo tardi. La Procura di Bergamo ha dovuto infatti disporre la riesumazione del cadavere di Alice per stabilire l’esatta causa della morte. Considerando che, all’epoca, era stata catalogata come una morte in culla. Le condizioni della sua salma sono risultate proibitive. Non potevamo aspettarci diversamente visto che in termini medico legali il corpo di una bambina si decompone più velocemente rispetto a quello di un adulto. Per gli investigatori, e anche per chi scrive, sembrano però non esserci più dubbi: anche lei è stata soffocata da sua madre. Se vogliamo parlare in termini di profilazione criminale, quindi, Monia ha seguito verosimilmente lo stesso modus operandi per entrambi i figli, nella consapevolezza che per la bambina era riuscita a farla franca non solo nei confronti del compagno Cristian Zorzi, ma anche nei riguardi delle autorità. Con l’avvio delle indagini Monia ha affidato ai post su Facebook le sue sensazioni. Lo ha fatto tentando in maniera non troppo velata di addebitare una qualche responsabilità al compagno e alla madre adottiva. “Mi ha tradita, non mi amava”; “E la Procura incolpa me, come se tutta questa tragedia fosse voluta, cercata. A nessuno importa che i miei bimbi fossero seguiti e tenuti come fiorellini, perfetti. A nessuno importa come io cercassi di essere disperatamente la mamma che non ho mai avuto”; “La colpa è mia per essere stata accanto a una persona che, per problemi sessuali o meno, mi ha sempre tradita e mai amata davvero. Per me amare significa stare accanto a qualcuno nella buona e nella cattiva sorte, ma non tutti sono disposti a questo”. Meccanismo dell’inconscio per alleggerire il crimine o astuta simulazione per evitare di assumersi le proprie responsabilità? Sicuramente anche un modo per porsi al centro dell’attenzione. Il suo intento? Probabilmente passare da vittima in una vicenda sanguinaria nella quale è in realtà carnefice. Il compagno Zorzi le è infatti sempre stato accanto. Sino al deposito della consulenza medico legale, che ha attestato quale causa di morte proprio la matrice asfittica dovuta alla compressione del torace per mano di terzi. Dove il terzo, o la terza, in questo caso è stata proprio la signora Bortolotti. Una domanda su tutte ci attanaglia in casi come questo. I mostri esistono? Sì, e possono indossare i panni di una madre. In chiusura, vi svelo un segreto. Comprovata letteratura scientifica sostiene che l’istinto materno neppure esiste. Al massimo, è possibile parlare di sentimento materno. E la cosa è ben diversa per il sentimento, lo sappiamo. Mentre l’istinto è qualcosa di connaturato, il sentimento è uno stato d’animo che può diventare labile, incrinarsi e trasformarsi. Cali il sipario. O il silenzio, come quello scelto da Monia ieri davanti al Gip.