“Nei primi giorni del gennaio 1973 andai a trovare Enzo Ferrari; e lui mi chiese di fargli da assistente. I miei ci rimasero malissimo: «Ti metti a giocare con le macchinine?»”. Sono queste le origini di Luca Cordero di Montezemolo, che all’epoca avrebbe dovuto fare l’avvocato penalista, nel mondo dei motori. L’ex presidente della Rossa, prossimo ai 75 anni (è nato il 31 agosto 1947) si è raccontato sul Corriere, sentito da Aldo Cazzullo. Mettendo subito le cose in chiaro: “Io nella vita mi sono fatto veramente il culo. Ho lavorato tantissimo. Di sabato, di domenica. Alla Ferrari ho rivoluzionato la gamma dei modelli, rifatto la fabbrica, decuplicato il fatturato, vinto 19 mondiali tra costruttori e piloti...”.
Su Enzo Ferrari: “Aveva le sue manie: non è mai venuto a Roma in vita sua, non ha mai preso un aereo o un ascensore, quando cedette la Ferrari all’Avvocato la firma si fece al pianterreno di corso Marconi. Ma era un uomo straordinario. Mi ha insegnato due cose: non arrendersi quando le cose vanno male; chiedere sempre di più, a sé stessi e ai collaboratori, quando le cose vanno bene. Aveva un talento naturale per il marketing: il cavallino di Baracca, le auto tutte rosse, l’accortezza di far aspettare anche se la macchina era pronta. Ogni tanto arrivava in treno da Roma il decano dei concessionari, e ripartiva con l’auto per il cliente. Era Vincenzo Malagò, il papà di Giovanni; una volta andò via con una Rossa per Mastroianni. La Ferrari per Enzo era come una donna bellissima, che si fa desiderare”.
Sull’ingaggio di Niki Lauda: “Mi sparò una cifra in scellini austriaci, dovetti andare in edicola a comprare il giornale per sapere quanto chiedesse... […] Dopo il rogo del Nurburgring andai in clinica a parlare con il medico. Mi disse che la notte sarebbe stata decisiva: bisognava tenerlo sveglio, perché aveva respirato gas velenosi, e doveva muovere i polmoni. Niki sentì tutto. E restò sveglio. Quaranta giorni dopo era già in pista a Monza. Quando indossò il casco si riaprirono le ferite, grondava sangue”.
Sui due giorni più belli con la Ferrari, il primo dei quali il 7 settembre 1975: “Clay Regazzoni vince il Gran Premio d’Italia, e Lauda è campione del mondo. Telefono a Enzo Ferrari, e intuisco che è commosso. Non l’avevo mai sentito piangere”. E poi l’8 ottobre 2000: “Michael Schumacher sta per conquistare il titolo dopo 21 anni. L’Avvocato mi telefona quando mancano due giri alla fine: «È fatta, grazie, grazie...». Io sono superstizioso, e gli dico: «Avvocato, aspettiamo...». Ma sento che lui, come Ferrari, è commosso”.
Su Gianni Agnelli: per Montezemolo (che secondo la “leggenda” sarebbe suo figlio) era “diverso da come lo raccontano. Ad esempio era molto italiano. […] Amava il calcio, le auto. Non era affatto disinteressato al cibo: la prima volta che da ragazzo andai a trovarlo all’Argentario parlammo dell’olio toscano, quando veniva a Roma andavamo a Fregene a mangiare il pesce. Era anche lui un po’ superstizioso. Soprattutto, era legatissimo a Torino, al Piemonte. E voleva essere il primo promoter dell’Italia in America, nel mondo”.
Sulla visita di Ralph Lauren in Ferrari: “Si aspettava una fabbrica più high-tech. Cambiammo tutto. Renzo Piano fece la galleria del vento. Chiamai Fuksas e Jean Nouvel. Inventammo la Formula Uomo, mettendo al centro la qualità della vita degli operai. Fummo i primi ad autoprodurre l’energia. Vincemmo il premio «The best place to work in Europe». Andammo in Cina. E rifacemmo la gamma dei prodotti. Compresa la prima auto ibrida italiana”.
Si parla di riconoscenza. Calenda, che ha avuto un’esperienza in Ferrari grazie a Montezemolo, ne ha avuta? “Sì. E ora in politica può fare bene. Non è vero che gli manchi il senso del sociale, è per il salario minimo. Rappresenta un’Italia repubblicana, perbene, seria”. Ed Elkann? “Suo nonno era un uomo generoso d’animo, pieno di interessi, con un grande senso dell’amicizia, che mi è sempre stato vicino nei momenti difficili. Non mi faccia dire altro”.
Montezemolo dice invece cose piuttosto pesanti su Marchionne (che prima di morire avrebbe detto di essersi vergognato per come l’aveva mandato via dalla Ferrari): “Marchionne era un assoluto dittatore, ma a me stava bene, avevo altre cose da seguire. Era naturale che nel tempo dovessi lasciare, anche perché non avrei mai portato la Ferrari in Borsa; la Borsa vive di annunci, e la Ferrari va gestita diversamente. Inoltre credo che della Ferrari Marchionne volesse diventare il numero 1: non solo gestore, ma azionista. Ci rimasi molto male per il modo”.