Tanti confronti a distanza, pochi veri temi trattati fuori dalla personalizzazione, tanta “rissa”: la campagna elettorale lombarda tra il presidente Attilio Fontana e gli sfidanti Pierfrancesco Majorino e Letizia Moratti è rissosa, diretta, molto confusa. A un mese dal voto, la corsa-lampo al voto per Palazzo Regione ha preso un canovaccio chiaro. Peccato, aggiungiamo noi, perché i temi sul terreno sono molti. Il leghista Fontana, il dem Majorino e la centrista neoconvertita Moratti si sono solo sfiorati, nella giornata del 10 gennaio, al Palazzo delle Stelline di Milano, “seconda camera” di governo della città dopo Palazzo Marino. Alla kermesse “Direzione Nord” prima Majorino, poi Moratti e infine Fontana hanno parlato per presentare i loro programmi. Interventi non privi di puntate interessanti e che meriterebbero un confronto diretto che, per ora, sta avvenendo solo sul lato della personalizzazione. La strategia di Moratti e Majorino è, in quest’ottica, chiara: eludersi a vicenda e concentrarsi su Fontana. Lady Letizia vuole correre contro sondaggi sfavorevoli che la danno, assieme al Terzo Polo, sotto il 15% delle preferenze e presentarsi come candidata di spicco. Per questo serve, alla sua strategia, attaccare direttamente l’uomo di cui era vicepresidente e non fornire alcun assist alla campagna del campo largo progressista formato da Pd, Movimento Cinque Stelle, ecologisti e radicali. Anche a costo di molte forzature. Moratti parla spesso come se non fosse stata, negli ultimi venticinque anni, tra le protagoniste del centrodestra lombardo e italiano. Rivendica come “sua” la riforma della Sanità della Giunta Fontana compiuta da assessore al Welfare tra 2021 e 2022 ma al contempo dichiara che per “vent'anni non c'è stato governo sulla sanità”, che “la Lombardia è bloccata da trent’anni” dimenticando quando, da sindaco di Milano, andava d’amore e d’accordo con la Regione di Roberto Formigoni (a cui la univa la comune attenzione politica al mondo ciellino), che il centrodestra che l’ha ricoperta di incarichi e fiducia non è il suo campo. “In questa destra non mi riconosco” dice Moratti, che il 9 gennaio però aveva però dichiarato che “Fontana mi aveva proposto una successione” nel quadro del centrodestra stesso. La strategia degli spin doctor della Moratti è quella di smarcarsi dalla destra rendendo al tempo stesso minoritaria la Sinistra nei suoi discorsi. Ricetta per una rimonta che si sta costruendo con un’arrampicata sugli specchi dietro l’altra.
Appare invece combattivo Majorino. Da giorni in una forma particolarmente battagliera. L’ex assessore e eurodeputato milanese, pacato dialogante sul tema delle case popolari e dell’accoglienza migranti, si è fatto ariete da sfondamento. Dall’alto del 35-40% di cui lo accreditano i sondaggi, ha ridotto a una singola cifra la distanza da Fontana. Reagendo, dunque, allo snobismo di Moratti rendendo pan per focaccia. Anzi, non parlare di Moratti significa ricordare agli elettori centristi che il voto per Lady Letizia, in questo caso, potrebbe apparire buttato se l’obiettivo è detronizzare la Destra.
Majorino carica ad personam. “Mandiamo a casa il presidente leghista e Giulio Gallera”, ex assessore al Welfare identificato come responsabile degli errori pandemici, è il mantra che ripete a ogni uscita pubblica. Una campagna elettorale quasi salviniana nei toni, condotta a testa bassa contro le persone ritenute responsabili della mala gestione della Lombardia. Fontana e Gallera da mandare a casa, i dirigenti di Ferrovie Nord e Trenord da cambiare e i trasporti da “ribaltare completamente”, la sanità “tutta da rifare”. Possibilmente, in quest’ultimo campo, con i buoni uffici del candidato assessore Fabrizio Pregliasco, virologo che però nel sistema duale pubblico-privato lombardo ha avuto la sua consacrazione come stimato medico del Galeazzi (Gruppo San Donato). Da “ribaltare completamente” anche Aler, il sistema di case popolari. Majorino in versione Gino Bartali: “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare” il suo motto.
Lo si può comprendere:m caricare a testa bassa e creare il dualismo “tutti contro Fontana” e la Lega è l’unica strategia che ha per vincere. Ogni arma vale: anche il richiamo, inusuale per un uomo della Sinistra radicale, al tema della sicurezza. I cui gap sono scaricati su Fontana e l’amministrazione di destra: “bisogna chiacchierare di meno e fare di più perché è inaccettabile che le donne su alcune tratte abbiano paura di viaggiare”, attacca Majorino a Direzione Nord, tirando fuori gli artigli. Legittima, al netto delle idee politiche, la scelta: come candidato presentato come più debole Majorino non ha alternativa all’attaccare ovunque e su ogni fronte, calciando ogni palla in tribuna. La campagna elettorale scalda i toni e si fa rissosa, ma è l’unica possibilità che il Pd ha per vincere.
In mezzo, serafico, Fontana. Leghista fattosi democristiano, abituato alla gestione del potere. Ex salviniano di ferro riabilitato agli occhi dei Lumbard duri e puri ma anche, se non soprattutto, di Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni, che col governatore puntano ad accordarsi per una giunta blu dalla testa verde dopo le elezioni. Fontana ha una cosa in comune con Majorino e Moratti: parla solo di Fontana. Ovvero di quelli che rivendica come risultati della sua giunta: le assunzioni previste per il 2023 (120mila), gli investimenti infrastrutturali (400 milioni), il Piano Lombardia. Sa di non essere elettoralmente trascinante e conta sul fattore-tempo: la vicinanza alle politiche dà buone chanches di rielezione. E la cosa da sottolineare è che in mezzo a tanti attacchi il meno “populista” sembra proprio lui, l’ex fedelissimo di Salvini. Meraviglie di un cambio di paradigma politico che da Roma si trasmette a Milano. E che ha reso centrale l’ex sindaco di Varese quando nessuno avrebbe più scommesso un euro sulla sua ricandidatura. Ora, invece, prossima a trasformarsi in rielezione anche per la divisione di un campo avverso i cui contendenti si ignorano platealmente.