“Southworking questa grandissima stracoppolazza di questa beneamatissima minchia!”. Possibile che nessuno abbia detto questa semplicissima e illuminante frase sulla Sicilia a quella coppia di pazzi finlandesi che pensavano di trasferirsi a Siracusa mentre la moglie dipingeva al sole, il marito lavorava da casa e i bambini (3, 6, 14 e 15 anni) crescevano in un ambiente sano, immersi nella natura sicula, coccolati da scuolabus e servizi, lasciando liberi mamma e papà di condurre la loro vita hipster che nella realtà non esiste neanche nel più delirante sogno di design Ikea – cosa facilmente confermata dal fatto che i due, una dipingendo e l’altro facendo un lavoro digital-qualcosa, dalla Finlandia se ne sono scappati.
Ma davvero questi due scollegati dalla realtà sono caduti preda delle deliranti brossure e dei siti web pieni dei vaneggiamenti di uffici stampa siciliani che vorrebbero fare passare quest’isola come un incrocio tra Los Angeles, Ibiza, Big Sur, Venice Beach e chissà cos’altro passa in mente a questi tizi con i peli che gli esplodono dalle orecchie, le maniche della giacca oviesse ben oltre la metà del pollice e scarpe repellenti?
Ma è davvero possibile che prima di farsi venire in mente una straminchiata come quella di trasferirsi in Sicilia non abbiano parlato con nessun residente che abbia raccontato loro di disoccupazione, ratti, immondizia, servizi pubblici inesistenti, comuni in default, povertà, droga, corruzione e concussione, volgarità diffusa e quant’altro ammorba quest’isola colpevole solo di ospitare i siciliani (non colpevoli, tra l’altro, della miseria morale nella quale vivono, ma non è questo il luogo per fare una approfondita analisi storica e sociologica per dimostrare che, anche se inconsapevolmente, alla fine, il siciliano è più simile a un ratto che a un essere umano). Certo, la pittrice (immagino sia dilettante) è matta come ogni pittrice dilettante, se si aspettava di trovare in Sicilia il paradiso barocco colmo di storia col clima mite ove passeggiare col cappello di paglia e il pennello in mano. Certo il linguaggio della sua lettera – o forse della sua traduzione – tradisce una scassaminchiaggine suprema. Ella si lamenta delle urla nelle scuole. Nelle scuole? Ma cara pittrice della domenica nella quiete meridiana accarezzata dal sole e dal mare: qui urlando ci svegliamo e urlando andiamo a letto. Ma tu, pittrice attenta all’estetica, ma non te ne accorgi delle dichiarazioni dei nostri politici, dei nostri sindaci?
Una lancia però vorrei spezzarla, sulla schiena tua e della nostra classe politica: sei uguale ai nostri assessori alla cultura e ai nostri professori. I discorsi che fai tu, la descrizione arcadica di un mondo perfetto, sono proprio gli stessi dei nostri assessori alla cultura e dei nostri insegnanti, che lontani dalla realtà confabulano di una Sicilia che non è mai esistita se non nella trasfigurazione letteraria dei greci: un geniale popolo di merda, come li definì il mio amato Gottfried Benn, e un mondo arcaico nel quale i tuoi figli, nel tragitto da scuola a casa, sarebbero stati, letteralmente, inculati da qualche filosofo o poeta. In questa delirante storia di lettere e lamentazioni e difese del sistema scolastico e fetore di cavoli siete tutti pazzi. Il mondo è meraviglioso.