Elisabetta Franchi è stata criticata per le sue dichiarazioni durante un evento del quotidiano Il Foglio. Un evento durante il quale l’imprenditrice nel settore della moda ha detto che lei per incarichi rilevanti assume solo donne “-anta”, perché le non più giovani hanno già superato “tutti e quattro i giri di boa” (anche se ne ha citati solo tre: “Se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello, quindi diciamo che io le prendo che hanno fatto tutti e quattro i giri di boa, e quindi sono lì belle tranquille lì al mio fianco e lavorano h24”). Per provare a uscire dal pantano, Franchi ha sostenuto in una storia su Instagram che “purtroppo, al contrario di altri Paesi, è emerso che lo Stato italiano è ancora abbastanza assente, mancando le strutture e gli aiuti, le donne si trovano a dover affrontare una scelta tra famiglia e carriera”.
Ma dal punto di vista logico e del merito (oltre che sul piano grammaticale) sembra esserci qualcosa che non torna. È davvero lo Stato (o solo lo Stato) a imporre una scelta tra famiglia e carriera? Vediamo quali secondo la Franchi sarebbero i “problemi” che le impedirebbero di assumere donne sotto i quaranta: “In Italia – le sue parole – purtroppo c’è un problema, e non lo può risolvere solo un imprenditore: quando metti una donna in una carica importante, se è molto importante poi non ti puoi permettere di non vederla arrivare per due anni, perché quella posizione è scoperta. E un imprenditore investe tempo, energia e denaro. E se ti viene a mancare è un problema. Quindi anch’io da imprenditore responsabile della mia azienda spesso ho puntato su uomini…”
Quindi il problema numero una citato sarebbe che le donne possono decidere di avere figli e avendo figli poi si assentano dal lavoro (addirittura).
Poi c’è la questione dei “giri di boa”. Per Franchi il vantaggio delle “ragazze cresciute” è che “sono lì belle tranquille lì al mio fianco e lavorano h24, questo è importante”. Niente matrimoni, niente figli, niente divorzi, dunque. Solo lavoro h24. Questa la caratteristica richiesta. Al riguardo secondo l’imprenditrice gli “uomini sono dei bambinoni, dei mammoni e non vogliono crescere, però è anche vero che qualcosina in più possono fare. Possono aiutare una donna. Però poi c’è lo Stato”. Già, lo Stato.
“Tu come imprenditore dici io investo in una donna che non è –anta, poi questa donna giustamente vuole far famiglia, sposarsi, andare in vacanza, andare dal parrucchiere, fare le sue cose e io come imprenditore poi se decide di aver dei figli mi ritrovo in una posizione strategica con un buco. Per un mese? No”.
Cosa potrebbe fare dunque lo Stato? Può costringerti ad andare a lavorare due giorni dopo il taglio cesareo come sostiene di aver fatto la Franchi? Può toglierti i sensi di colpa (“perché le donne hanno anche i sensi di colpa”) o la voglia di andare dal parrucchiere o in vacanza? Se è per questo lo ha già fatto, visto che negli ultimi anni tra Covid, norme assurde e crisi economica sia il parrucchiere che le vacanze sono state enormemente osteggiate.
Lo Stato può costringere le donne a fare più in fretta “tutti e quattro i giri di boa”? A fare come chi “dorme 4 ore per notte, prende degli aerei ed è sempre in giro per il mondo”? A fare “un grande sacrificio dietro il mondo della moda”? Può far sì che nel mondo della moda non sia “improbabile” lavorare da casa, come sottolineato dalla Franchi?
In verità, dove lo Stato interviene più che in Italia lo fa aumentando, oltre che il denaro riconosciuto e i sostegni, il periodo di assenza delle neomamme (e/o dei neopapà), ossia l’esatto opposto di quanto auspicato dalla Franchi: nel nostro Paese (ammesso e non concesso di avere un rapporto di lavoro “tradizionale”) per il congedo parentale ci sono 10 mesi da ripartire tra i due genitori entro i primi 12 anni di vita del bambino. I mesi diventano 11 se il papà usufruisce di almeno tre mesi (continuativi o frazionati). Molti Stati in Europa fanno meglio (non dal punto di vista degli imprenditori, si intende): in Spagna – riporta Linc Magazine – “sia le mamme che i papà hanno diritto a 16 settimane di congedo, non trasferibile e pagate al 100%. Di queste le prime 6 sono obbligatorie subito dopo la nascita del bambino, mentre le successive 10 sono facoltative e i genitori potranno scegliere se utilizzarle a tempo pieno o part time”. Quanto ai Paesi scandinavi, “in Norvegia i papà possono beneficiare di quasi un anno di congedo con 46 settimane pagate al 100% o 56 settimane all’80%. Si tratta di 12 settimane per la mamma, 12 per il papà e il resto da dividere fra i due. Nella vicina Svezia ogni genitore ha diritto a 12 mesi di congedo da condividere, ma sono obbligatori almeno due mesi a testa. In Danimarca invece c’è ancora una certa differenza tra il congedo concesso alle mamme e quello per i papà, su un totale di 52 settimane infatti, 2 sono del papà, 14 della mamma, il resto da spartire in modo equo”. In Germania “si ha diritto a 12 mesi di congedo parentale che diventano 14 se ne beneficia anche il papà (per almeno due mesi) e con una retribuzione pari al 67% dello stipendio (in un range cha va da un minimo di 300 euro a un massimo di 1.800 e che si abbassa al 65% per gli stipendi medi, ovvero quelli superiori a 1.200)”. Per quanto riguarda il nostro Paese, oltre alle altre differenze, “in Italia si percepisce solo il 30% della retribuzione media giornaliera entro i primi sei anni di età del bambino”.
Non a caso l’Italia è in fondo alla classifica europea del tasso di natalità. Se lo Stato intervenisse maggiormente (tragicomica la misura dell’assegno unico, che sostituisce tutti gli altri sostegni e per molte famiglie si traduce in soli 50 euro al mese a figlio), ci sarebbero più figli, con congedi più lunghi. Dunque il contrario di quello che piacerebbe a Franchi e in generale, che lo esplicitino o meno, a moltissimi datori di lavoro.
Le aziende potrebbero fare qualcosa: concedere part-time, consentire lo smartworking, attivare asili nido aziendali, ma… La verità pura e semplice è che tanti imprenditori "gradirebbero" che le proprie dipendenti non avessero figli (quanti episodi si sono letti di dimissioni con data lasciata in bianco fatte firmare all’atto dell’assunzione per essere poi tirate fuori dal cassetto in caso di “lieto evento”?). Lo ha detto chiaramente la stessa Franchi riferendosi alla dipendente che diventa madre: “Non ti puoi permettere di non vederla arrivare per due anni, perché quella posizione è scoperta”.
Cosa dovrebbe fare lo Stato al riguardo? Forse dovrebbe dire a un bambino, con accento emiliano come la Franchi, «no, tu non “nassi”»? In effetti in questo caso, e guarda caso proprio in questo caso, dove non arriva lo Stato arrivano le imprese: Amazon, Apple e altre grandi aziende americane hanno deciso di sostenere economicamente le lavoratrici che scelgono di abortire recandosi in Stati dove la legislazione è meno stringente (o i loro compagni). Viva la maternità! Viva la famiglia! Sì, come no...
Qui sotto il video dell’evento "Donne e moda": la Franchi interviene dopo 1 ora e 25 minuti.
Il successivo comunicato in cui Elisabetta Franchi riconosce “di essersi espressa in modo inappropriato” rischia di finire annoverato – rimanendo in campo tessile – come la proverbiale toppa peggiore del buco, e in ogni caso non cambia le cose che si possono leggere, vedere e ascoltare sopra.