Si dice che ogni risurrezione abbia bisogno della sua tomba. E Francesco, il papa gesuita venuto dalla fine del mondo, non solo la tomba l’ha scelta – Santa Maria Maggiore, sotto l’icona che prega da una vita – ma pare anche averla visitata in avanscoperta, come si va a vedere una casa nuova prima di firmare il rogito. Però non ci è entrato da morto, come qualcuno avrebbe voluto. Ci è entrato tossendo. Tossendo e uscendo da una Fiat 500L bianca su una sedia a rotelle.
Eppure in molti, moltissimi lo avevano già dato per stecchito. Defunto. Il nuovo papa, dicevano, era già stato eletto in segreto, e il cadavere di Bergoglio veniva tenuto in fresco in qualche antro del Gemelli, pronto a riemergere solo quando l’algoritmo del consenso lo avrebbe concesso.
E invece eccolo lì, con il volto segnato ma anche con il tentativo di abbozzare un sorriso, il papa quasi morente che fa ciao-ciao dal balcone dell’ospedale come se nulla fosse, con una voce che pare uscita dal grammofono di Dio, graffiata, gonfia, soffiata da un polmone superstite. Il testo dell’Angelus gliel’hanno letto altri, ma lui era lì, in carne, ossa, residui di flebo e naselli per l’ossigeno, ancora abbastanza vivo da parlare, salutare e pure alzare il pollice.
Quel pollice. Ah, quel pollice. “Grazie a tutti. Vedo questa signora coi fiori gialli. È brava”, ha detto. Un messaggio? Un codice cifrato? Un’allucinazione farmacologica? No, solo un gesto umano, profondamente umano, come quando, spogliato di ogni potere concesso da un abito o da uno status, rimane solo il corpo che cerca aria, che spera di intravedere un volto familiare che è lì per lui.
Ma anche in quel gesto semplice – un pollice sollevato – si potrebbe leggere il sarcasmo supremo di un uomo che ha letto i giornali, che ha sentito le voci, che conosce l’ossessione necrofila del nostro tempo. Il suo ok sembrava dire “non ci sperate troppo, non ancora”. Una sorta di dito medio ecumenico diplomaticamente adattato all’iconografia cristiana. Un “io sono ancora qua” pronunciato da un luogo di confine tra il riflesso involontario e la forza muscolare residua.

Poi la scena-madre: la “fuga”: il Papa ha lasciato il Gemelli a bordo di una Fiat 500L bianca che – scrivono le cronache – “procedeva lentamente tra la folla con i finestrini chiusi”. Una scena surreale, pasoliniana e felliniana insieme, come se il regista fosse stato Lynch ma il budget quello della Rai. Una lenta processione verso Santa Maria Maggiore, cambio di programma all’ultimo minuto, deviazione dal copione.
E lì – nella basilica che ha scelto per il riposo eterno – Francesco entra non per lasciarsi seppellire, ma per far depositare un mazzo di fiori davanti alla Salus Populi Romani. “Devotissimo”, ci ricordano i pii conoscitori papali della stampa mainstream. “È la prima immagine sacra che, con speciale bolla pontificia, ebbe l’autorizzazione di essere riprodotta e quindi diffusa in tutto il mondo per essere invocata nelle carestie, guerre e pestilenze”. Tutto torna. L’ultima pandemia. La guerra alle porte. La peste dello spirito, dell’informazione, del senso.
Francesco si raccoglie. Prega. Davanti all’icona che ha visto passare papi, imperatori, civiltà, epidemie e ora pure le fake news su TikTok. E mentre prega, fuori da qualche parte c’è Carmela. Carmela Vittoria Mancuso, “79 anni, la signora delle rose”, come fosse un personaggio di Elsa Morante che ha letto troppo Bukowski. “A tutte le udienze mi sono presentata con i fiori per il Santo Padre”, dice, “dalla prima volta, ho visto la meraviglia e il sorriso nei suoi occhi”. E ora “non sono degna”, sussurra.
No, Bergoglio non è morto. È solo stanco. Fragile. Ma ancora vivo. Tossisce, respira male, sta sulla sedia. Ma intanto vive. A Santa Marta, dicono i medici, “almeno due mesi di degenza”, come un vecchio partigiano di Dio che non molla la prima linea. Dimissioni “protette”, certo. Ma non blindate. Aperte, porose, esposte quanto basta.
E noi, qui, sulla soglia di Pasqua, ci ritroviamo con un papa post-umano e pre-mortale, un papa che sembra sopravvivere nonostante i bollettini, nonostante la rete, nonostante il culto continuo della sua fine. È ancora con noi, come uno spettro gentile a rotelle. Ma non è forse questo, il mistero cristiano? Uno dato per morto che torna, almeno per un po’, almeno per chi ci crede. Chissà se anche Gesù aveva la tosse.


