Appena due mesi potrebbero separare il mondo da una nuova guerra. Donald Trump è stato abbastanza chiaro: o l'Iran rinuncerà una volta per tutte, e per sempre, al proprio programma nucleare, oppure, tra circa sessanta giorni, gli Ayatollah dovranno prepararsi a subire gravi conseguenze. Certo, sappiamo che gli ultimatum di Trump hanno spesso una valenza simbolica – puro machismo degli affari applicato alla politica estera – che non sono quasi mai affidabili e che spesso non hanno nemmeno molto senso. Ma questa volta ci sono tutti i presupposti per prendere la questione della “guerra Usa-Iran” dannatamente sul serio, e dunque è lecito ipotizzare che le “gravi conseguenze” possano effettivamente tradursi in un conflitto aperto. Il giornalista statunitense Ken Klippenstein, per esempio, ha fatto sapere di aver ottenuto alcuni documenti provenienti dal Pentagono che descriverebbero uno sforzo di “pianificazione congiunta” senza precedenti in corso a Washington e in Medio Oriente, volto a perfezionare un “importante conflitto regionale” con l'Iran. Il piano degli Usa, denominato progetto Seed, comprenderebbe di tutto: dall'inganno militare all'eventuale utilizzo di armi nucleari. Fantapolitica, utopia, fake news? Ci limitiamo a unire i fatti più rilevanti accaduti nelle ultime ore, per ritrovarci di fronte a un mosaico tanto complesso quanto preoccupante. In primis, perché gli Stati Uniti, nel corso della loro storia, hanno sempre avuto l'esigenza di lottare contro un nemico. Visto che Trump potrebbe davvero accordarsi con la Russia per risolvere la crisi in Ucraina (e “regalare” non poche garanzie a Vladimir Putin), Mosca è esclusa dalla lista nera. La Cina? Sì, ci sono diversi temi commerciali che non convincono Trump, ma anche con Pechino il tycoon sembrerebbe voler usare l'arte degli affari: accordi, intese, deal. Senza considerare il fatto che le più importanti aziende Usa dipendono ancora dal mercato cinese (comprese quelle di Elon Musk). Resterebbero la Corea del Nord di Kim Jong Un, l'Europa dei burocrati, l'Iran e poco altro.

L'Iran ha dunque tutte le carte in regola per essere il nuovo nemico degli Stati Uniti. Per quale motivo? Ci sono diverse ragioni. La prima, e più superficiale, è di natura militare: le capacità di Teheran, tra missili e droni, si sono rafforzate, mentre il programma nucleare degli Ayatollah starebbe procedendo a gonfie vele nonostante sanzioni e avvertimenti vari. La seconda ragione si chiama Israele: per Washington l'ascesa di un Iran nucleare equivarrebbe a una dichiarazione di guerra della Repubblica Islamica contro Tel Aviv. A quel punto si innescherebbe un vero e proprio effetto domino in Medio Oriente, con Usa, Russia - e probabilmente pure Europa e Cina - costrette a scendere in campo per un conflitto globale. Non è un caso che, durante la loro ultima telefonata, Trump e Putin abbiano concordato sul fatto che l'Iran non dovrebbe mai essere in grado di distruggere Israele. Terza motivazione: per far funzionare il loro sistema capitalista gli Stati Uniti hanno bisogno di consumatori attivi, di persone che credono alla religione del dollaro, al commercio compulsivo, al “produci-consuma-crepa”. Gli islamici, oggi, sono forse i più grandi nemici valoriali di Trump visto che credono a una religione molto diversa da quella sbandierata dagli Usa. Con il cristianesimo ormai annacquato e la maggior parte dei Paesi sunniti di rilievo – dai Paesi del Golfo all'Arabia Saudita – vicini a Washington, gli sciiti iraniani rimangono le uniche mosche bianche. Se, dunque, il mondo islamico non secolarizzato diventerà il nuovo nemico prediletto degli Stati Uniti, l'Iran coinciderà con la punta dell'intero iceberg.

Il nuovo piano di guerra del Pentagono contro l'Iran comprende un approccio multilaterale. Significa che gli Stati Uniti lavoreranno di concerto con i loro partner in Medio Oriente, da Israele ai Paesi arabi, sia direttamente che indirettamente. Nel frattempo la Casa Bianca ha condotto pesanti attacchi aerei contro gli Houthi, una milizia alleata dell'Iran e operativa nello Yemen - perché? Per via del loro ruolo negli attacchi alle navi del Mar Rosso e a Israele – e non ha mosso un dito quando Benjamin Netanyahu ha ripreso a colpire Hamas nella Striscia di Gaza. Il tempo scorre e tra due mesi Trump dovrà decidere cosa fare. In caso di mancato accordo con gli Ayatollah, Washington sarebbe pronta a colpire l'Iran insieme alle Forze di autodifesa israeliane. A quel punto resterà da capire se Mosca e Pechino difenderanno il partner iraniano o se, al contrario, si volteranno dall'altro lato in attesa che a Teheran arrivi un governo meno religioso e più moderno...

