Nello studio di Accordi & Disaccordi Marco Travaglio e Carlo Calenda si sono affrontati come due pugili senza guantoni, senza regole e con un solo obiettivo: mandarsi al tappeto davanti a un allibito (e divertito in proporzione variabile) pubblico televisivo. Arbitro Luca Sommi, costretto a provare a evocare Mario Giordano come figura portatrice di tregua. Sì, Mario Giordano, ammutolito al tavolo dove gli altri due si stavano scannando. Basta questo per capire il livello dello scontro.
Tutto comincia con un nome: Alessandro Orsini, il professore. Calenda lo definisce «un propagandista russo». Travaglio, che Orsini lo difende come un fratello d’armi intellettuale (e come di firma del suo Fatto Quotidiano), esplode: «Tu sei un trombettiere della Nato, un calunniatore, un diffamatore!». Ed è solo il primo jab. Il resto è un crescendo di accuse, allusioni e parolacce intellettualizzate.
«Tu dai del propagandista perché sei tu il propagandista. Solo che gli studiosi autonomi, a differenza tua, hanno azzeccato tutto. Tu sono tre anni che dici che l’Ucraina batterà la Russia, e abbiamo visto», attacca Travaglio. Calenda, che non è certo uno che si risparmia, si difende e contrattacca: «Io ho sempre detto che l’Ucraina stava difendendo la propria libertà. Mentre voi avete sostenuto che è l’Occidente a fare la guerra per procura». E giù altri colpi.
Travaglio rincara: «Tu sei andato duemila volte in Ucraina e non hai capito un cazzo. Sono scappati dieci milioni, ci sono 800mila renitenti e 600mila disertori: tanto vogliono combattere». Calenda si infuria: «Del calunniatore non me lo dai per cortesia». Travaglio sorride come il gatto del Cheshire ma poi graffia: «Hai parlato di un assente, io difendo un collaboratore. Ti ho dimostrato che hai detto il falso: sei un mentitore».

Si passa quindi al piano personale, quello in cui i duellanti si scambiano sberleffo e livore. Calenda alza la voce: «Io ti cito un articolo di Foreign Affairs, magari te lo mando, così impari a leggere in inglese». Travaglio: «Io contro Putin ho scritto sempre, tu invece sei andato a San Pietroburgo da ministro a chiedere: “E ora che dobbiamo fare?”».
La tensione esplode ulteriormente nel finale, quando Calenda sbotta: «Macchietta tua zia!», frase che entrerà nei manuali di diplomazia parlamentare del XXI secolo. Travaglio lo irride: «Il Movimento 5 Stelle è in crescita, tu sei in picchiata». Calenda ribatte da imprenditore della statistica: «Sai quanti lettori c’hai rispetto ai miei elettori? Un quarantesimo. Devi crescere».
In mezzo, Luca Sommi prova a restituire ordine evocando Mario Giordano, l’unico che, nella tempesta, appare zen in attesa di poter parlare qualche istante del suo Dinasty, un libro pesantissimo contro Agnelli, Benetton, Del Vecchio e De Benedetti che in quel contesto sembra un’oasi di pace. «Per il rispetto che si porta anche a Mario Giordano…», dice, forse sperando in un miracolo. Ma niente da fare. Calenda lo riprende: «Ma poveraccio de che? Questo mi dà del poveraccio e io dovrei stare zitto? Ma come ti permetti!».
L’effetto finale è un talk show che implode su sé stesso. Poi Giordano parla, ma tutti ora parlano di altro.
