Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio torna a pungere il presidente del Consiglio Giorgia Meloni poco dopo l’intervento della premier in Senato che ha preceduto il voto sulla risoluzione di centrodestra sul piano di riarmo europeo, alla vigilia del Consiglio europeo: “Se la Meloni fosse stata una passante, oggi, quando l’ho sentita parlare in Senato, le avrei fatto quasi un mezzo applauso, perché ha detto delle cose condivisibili. Il problema è che lei è il presidente del Consiglio che la settimana scorsa ha approvato il piano di riarmo al Consiglio europeo. Quindi, evidentemente è un caso di dissociazione grave, un caso anche psicoanalitico direi”, è stata la stoccata pronunciata da Travaglio durante il programma Otto e mezzo su La7.

Nel riferire in Senato la premier si è mossa con grande prudenza cercando di preservare quell’equilibrismo doroteo che sembra essere diventata la strategia con cui l’Italia cerca di farsi spazio fra le spallate di Trump negli Stati Uniti quelle di Ursula von der Leyen in Unione europea e le forze centrifughe della maggioranza. Ieri in una sala del Senato è tornato a parlare anche Mario Draghi, che ha illustrato il suo rapporto sulla competitività europea. L'ex premier ha parlato della difesa eruopea come di un "passaggio obbligato", sottolineando che "il passaggio al debito comune è l'unica strada". Cessione di sovranità nazionale in favore di Bruxelles, dunque, perché "il cambio di governo negli Stati Uniti “minaccia la sicurezza dell’Unione”. Tutto questo mentre in aula Giorgia Meloni ribadiva che “è un banale dato di realtà che non è possibile immaginare una garanzia di sicurezza duratura dividendo l’Europa e gli Stati Uniti. È ingenuo pensare che l’Europa possa fare da sola”, invitando inoltre Bruxelles a non mettere in campo ritorsioni ai dazi che entreranno in vigore ad aprile. Allo stesso tempo, ha accolto il piano di riarmo da 800 miliardi presentato dalla presidente della Commissione europea, continuando però a contestarne il nome – che per Meloni è una “questione di merito e non solo di forma” – definito “roboante” e rivendicando la decisione di non includere i fondi di coesione nelle spese militari. Ed è su questa contraddizione che affonda nuovamente Travaglio: “[Meloni ndr] ha approvato il piano di riarmo al Consiglio europeo chiedendo soltanto di cambiargli il nome, visto che si parla di armi. Ma quella è l’unica parte onesta del piano, perché appunto parla di armi e quindi si chiama riarmo. Meloni ha chiesto di cambiare il nome del piano – prosegue – perché altrimenti la gente capisce che si tratta di armi. Il nostro governo sono mesi che chiede di scorporare dal patto di stabilità vincolato non le spese in sanità, in welfare, in scuola, in ricerca, ma le spese militari. Quindi, adesso che l’ha ottenuto, di che si lamenta?”.

La cautela tenuta da Meloni ieri in aula risponde alla manifesta esigenza di evitare spaccature nella maggioranza, dove Forza Italia si è mostrata compatta nel sostegno al piano di von der Leyen mentre nella Lega Salvini – ieri non in aula ma a Varsavia – continua a spingere in direzione opposta. Alla fine, il voto sulla risoluzione voluta dal centrodestra passa con 109 voti favorevoli, 69 contrari e 4 astensioni, tenendo insieme tutte le anime di governo. Ma con quale risultato in vista di Bruxelles? Su questo torna caustico Travaglio: “Io non ho capito perché Meloni critica un piano che la settimana scorsa ha approvato in Consiglio europeo e perché, dopo che ha ottenuto di togliere dai vincoli di bilancio le spese militari, adesso dice che le spese da fare sono altre. Alla fine, ha fatto una mozione che per tenere dentro Forza Italia e la Lega praticamente non dice più niente, Non c’è più niente in quella mozione: si sono compattati perché non dicono niente e quindi vanno con un foglio bianco al Consiglio europeo di giovedì”. Giovedì a Bruxelles inizia il Consiglio europeo in cui i leader dei paesi membri saranno chiamati a discutere sul Rearm Europe. Ieri Von der Leyen è stata incontrovertibile sugli obiettivi della Commissione: “Se l’Europa vuole evitare la guerra deve prepararsi alla guerra”. Parole dirette sia alle cancellerie europee, nervose per la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina, che proprio ai leader delle due potenze in comunicazione, per evitare che si giunga a una tregua di cui facciano le spese le esigenze di sicurezza del Vecchio continente.
