Si era preparato tutto, John Elkann, alla vigilia della tanto attesa audizione in Parlamento per discutere del futuro dell’industria dell’automotive, dei progetti e delle prospettive occupazionali per il Paese. Un lungo preambolo storico in cui ha tessuto le lodi dei 125 anni Fiat fatto davanti ai membri delle Commissioni Attività produttive di Camera e Senato, una sequenza interminabile di dati sulla produttività e sulla contrazione del mercato dell’auto snocciolati con grande disinvoltura e pure una stoccata all’ex amministratore delegato, Carlos Tavares, sull’elettrico. Una strategia per non andare al sodo, culminata in una frase che ha suscitato reazioni da parte della politica: “Senza di noi l’auto italiana sarebbe scomparsa, come l’informatica dopo Olivetti e la chimica dopo Montedison”. Un’incensata in grande stile, insomma, che non sembra tenere conto dei quasi 19 miliardi di euro di risorse pubbliche tra contributi diretti, incentivi, prestiti garantiti dallo Stato e cassa integrazione dal 2000 ad oggi – dati del Centro studi di Unimpresa – a cui si aggiungono le migliaia di posti di lavoro persi negli ultimi anni e le delocalizzazioni.

Secondo il leader della Fiom, Michele De Palma, l’audizione ha “confermato le nostre preoccupazioni”, senza presentare alcuna novità. Del resto a parlare erano già i dati, che confermano un crollo della produzione industriale del gruppo. A dirlo sono i numeri: Nel 2024 il gruppo ha prodotto 283.090 autovetture in Italia, secondo i calcoli della Fim Cisl, il 45 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Per trovare un dato analogo bisogna tornare al 1956. Lo scorso anno i sei impianti italiani hanno sfornato l’anno scorso meno di 500 mila veicoli. Le immatricolazioni sono calate dello 0,5 per cento, mentre l’attività delle fabbriche di Stellantis si è quasi dimezzata. Uno scenario difficile che Elkann imputa alle “mutate condizioni di mercato” e ai “dazi di Donald Trump”. “Il 2025 sarà un anno difficile, è iniziato con una contrazione del 7 per cento – sottolinea Elkann – specificando che nel 2026 i livelli produttivi “dipenderanno da mercato e dazi”. Su Stellantis, il vero elefante nella stanza tra le aule del Parlamento, si è detto poco o nulla: “Stiamo realizzando puntualmente gli impegni presi. Per l'anno in corso stiamo spendendo circa 2 miliardi di euro di investimenti e 6 miliardi di euro in acquisti da fornitori italiani. Dalla sua nascita nel gennaio 2021, Stellantis ha acquistato servizi e componenti dalla filiera italiana dell'auto per un valore di 24 miliardi di euro, che diventeranno 30 alla fine del 2025”. Il presidente Elkann si dimentica però di parlare dei nuovi modelli di automobile così come del progetto per la famosa gigafactory per la produzione di batterie per auto elettriche che avrebbe dovuto sorgere a Termoli, salvo poi essere rinviato. Anzi, proprio sull’ elettrico non si è fatto mancare l’occasione di punzecchiare l’ex amministratore delegato Carlos Tavares, che per anni aveva difeso le regole sulla mobilità del Green deal europeo: “Stellantis crede che elettrificazione è uno strumento efficace, ma allo stesso tempo per centrare gli obiettivi climatici è necessario utilizzare tutte le motorizzazioni esistenti. Cina e Usa stanno definendo una politica per raggiungere i loro interessi nazionali. Auspichiamo che accada anche in Europa, abbiamo bisogno di un quadro chiaro”.

Le parole di Elkann non hanno certamente lasciato indifferenti i leader politici. Il frontale arriva dal leader della Lega Matteo Salvini, che ha parlato di “una proprietà che di italiano ormai ha ben poco, che ha preso soldi in Italia per decenni per aprire fabbriche all’estero. Il peggior esempio di come si fa impresa con il denaro pubblico”. Critico anche il leader di Azione Carlo Calenda, che davanti alla "gloriosa" ricostruzione di Elkann si rivolge direttamente al presidente di Stellantis: "Nella sua ricostruzione mi manca di capire se lei ha mai commesso un errore visto che [..] il suo titolo sta messo malissimo, le vendite pure...nella sua ricostruzione gloriosa manca un pezzo di responsabilità dato che quest'anno siamo arrivati ail minimo della produzione”. Calenda poi aggiunge: "Io le ricordo che vi abbiamo dato una garanzia dell 80 per cento su un prestito a 6,3 miliardi di euro che prevedeva la piena occupazione nel 2023, investire 5,2 miliardi di euro, non cedere asset e non delocalizzare la produzione di modelli oggetto di industrializzazione. Non c'è un obiettivo che abbiate rispettato". Nonostante le parole dell’alleato Salvini ci va più cauto Fratelli d’Italia, con il ministro delle Imprese e del Made in Italy Alfo Urso - "l'ultimo rimasto a credere ai numeri che date", dice Calenda che cita “condizioni per essere fiduciosi di poter condividere un piano Italia che vede il nostro Paese al centro dello sviluppo dell’auto europea”.
