Si usa dire, dei giornali, che sono le voci in perdita di un bilancio attivo, ed è un discorso che vale laddove l’editoria non è pura e avere a disposizione una o più testate significa mettere una bandierina a livello di influenza e di pressione politica per poter fare i propri interessi altrove. È con queste lenti che spesso si ragiona sugli scenari proprietari dell’editoria italiana, ed è proprio da questa prospettiva che risulta interessante notare i cambiamenti negli assetti sociali di chi possiede i giornali di riferimento della destra, dove la famiglia Angelucci, con l’accordo con la famiglia Berlusconi per rilevare la maggioranza del Giornale e le voci – smentite, pertanto molto probabilmente verissime – sull’acquisizione della Verità, sta per allargare una potenza di fuoco editoriale che sul territorio nazionale già conta su Libero (controllato attraverso una fondazione e beneficiario nel 2021 di oltre 2,7 milioni di contributi pubblici) e sul Tempo. Ecco, appunto: gli Angelucci non sono nati editori, lo sono diventati e, comunque, non è quello il loro business principale. Gli Angelucci sono infatti tra i Signori della sanità privata italiana, perché quello è il settore che ha consentito alla famiglia di arrivare a costituire una holding, Three, domiciliata in Lussemburgo, da 343 milioni di euro di patrimonio, 200 milioni di ricavi e migliaia di dipendenti, attiva appunto nella sanità, nell’immobiliare, nel facility management, nella consulenza finanziaria e nell’editoria. Three controlla, fra le altre, la Finanziaria Tosinvest e il gruppo San Raffaele. Si parla sempre di famiglia ma, come ha rilevato Mario Gerevini sul Corriere della Sera, il 100% di Three è del capostipite, Antonio Angelucci detto Tonino, abruzzese classe 1944, romano per tutta la sua vita adulta.
Bodyguard e Ferrari d’ordinanza, deputato ininterrottamente dal 2008 (Popolo della Libertà, Forza Italia, Lega, eletto prima in Lombardia e poi nel Lazio), non è tanto con la politica che ha ottenuto i suoi successi – oltre a essere stato a lungo il deputato più ricco, ha numeri bassissimi in termini di presenze e indice di produttività che misura il lavoro dei parlamentari – quanto grazie (anche) alla politica, o meglio ai suoi rapporti con l’intero arco parlamentare di oggi e di ieri. La biografia, più o meno apocrifa, ha i classici stilemi del self made man tanto cari al capitalismo: da commesso di farmacia prima e portantino poi a scalare il settore delle cliniche private e delle residenze per anziani, non senza essere finito nel tempo anche nel vortice di polemiche, interrogazioni parlamentari e indagini relative alla sua attività imprenditoriale. La sanità, del resto, è settore complesso e nel quale il denaro circola, ma è la sua destinazione a essere oggetto di numerose inchieste che, a intervalli regolari, nascono in questa o quella regione.
Nella home page di Finanziaria Tosinvest (il marchio storico di Angelucci: TO-SI sono infatti le iniziali del suo nomignolo, Tonino, e del nome di battesimo della moglie, Silvana Paolini) si legge una citazione dell’economista e Nobel statunitense Paul Samuelson: “Investire dovrebbe essere piuttosto come guardare la vernice che si asciuga o l’erba che cresce. Se volete invece eccitazione, prendete 800 dollari e andate a Las Vegas”. L’erba di Angelucci è cresciuta, concimata anche appunto da rapporti personali e imprenditoriali rilevanti come quelli con Gianfranco Fini (il fratello, Massimo, a lungo è stato un uomo di Tosinvest e San Raffaele), Alfio Marchini, Massimo D’Alema, Cesare Geronzi, entrando (e uscendo) negli anni anche dal capitale di Mediocredito centrale, Unicredit, Alitalia, non sempre guadagnandoci in realtà. Dei figli di Antonio Angelucci, quello che consente alla famiglia di declinarsi al plurale è soprattutto Giampaolo, classe 1972, presidente del Consiglio di Amministrazione di Finanziaria Tosinvest, nonché il più attivo nel campo dell’editoria che oggi torna alla ribalta, ma da decenni lo vede protagonista: tra le ex testate possedute in passato vanno annoverate anche Il Riformista, il Corriere dell’Umbria e un tentativo, non riuscito, di controllare L’Unità.