Premessa: questo articolo è scritto per nuocere coscientemente a quel nobile sport, negli ultimi tempi piuttosto diffuso, che è la caccia alle streghe con il marchio di “putiniani” indifferentemente affibbiato a giornalisti, attivisti, politici, scrittori, sociologi, storici e influencer di vario ordine, grado e livello. Riconosciuto a Gianni Riotta il ruolo di segugio apripista (sua l’impareggiabile definizione di “Putin-Versteher” per coloro che cercano di comprendere, senza per questo giustificare, le motivazioni dell’autocrate russo), e dato al Corriere della Sera quel che è del Corriere della Sera, ovvero la coppa dei proscrittori per aver confezionato qualche settimana fa il più bello scampolo di messa all’indice, con tanto di foto segnaletiche, delle presunte quinte colonne, la novità odierna sul fronte della contro-controinformazione viene da un documento a grappolo presentato in una sala della Camera dei Deputati, officianti Lia Quartapelle (responsabile politica estera del Pd), Andrea Romano (onorevole Dem, fra l’altro ex editorialista di varie testate) e Riccardo Magi (presidente di +Europa). Presente in veste di co-relatore Jacopo Jacoboni, firma de La Stampa e punta di lancia della falange atlantista.
Il testo, che allarga il raggio dei colpiti dal temibile fuoco di fila anti-putiniano, è stato materialmente redatto dalla Federazione Italiana dei Diritti Umani e da Open Dialogue, un’organizzazione fondata in Polonia per monitorare lo stato della democrazia nei paesi ex sovietici. Oltre a una pattuglia di guastatori già noti all’indomita polizia del pensiero (la bestia 666 Alessandro Orsini in testa, ma ci sono anche Barbara Spinelli, Donatella Di Cesare, Franco Cardini, l’inviato Rai Marc Innaro), spuntano i nomi dello storico più amato dal web Alessandro Barbero, del beniamino del ceto medio colto Corrado Augias, dei giornalisti Sigfrido Ranucci di Report, Gian Micalessin del Giornale e Valeria Petrini del Fatto Quotidiano, e, per non farsi mancare il bersaglio grosso, quello di Oliver Stone, cineasta che nel 2017 ebbe l’ardire di intervistare Putin in un documentario dal titolo, già un po’ troppo tendenzioso, “The Putin Interviews”.
Allo Stone viene mossa l’accusa di aver girato quella famosa intervista “senza offrire un contraddittorio”. Ora, facciamo un’operazione psicologica che sappiamo ardua per i prodi combattenti nell’eterna lotta fra il Bene e il Male: mettiamoci nei panni dell’accusato, in questo caso di Oliver, rappresentante in realtà di ogni intervistatore, sia esso giornalista o artista, e di qualsiasi autore di una qualsivoglia opera d’ingegno, sia un video, uno scritto, un programma tv, un film, un libro o quel che vi viene in mente. Un giorno, al nostro malcapitato, sopravviene l’idea di sentire in presa diretta cosa pensa, e addirittura come comunica, il signor Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa. Certo, non “uno dei nostri”, come si diceva nei western hollywoodiani, ma pur sempre uno che conta qualcosina. Del resto, i “nostri” a volte son tipacci che come minimo lo eguagliano, si pensi al turco Erdogan, autocrate anche lui (Draghi dixit), o a un Mohammed bin Salman, principe-padrone dell’Arabia Saudita. In più, Oliver Stone si è fatto una solida fama di personaggio più o meno controcorrente, versante sinistra americana. Sarà legittimo che scelga in autonomia a chi dedicare un lavoro documentaristico, che per inciso fa parte del suo mestiere di regista? Probabilmente, secondo i nostri benemeriti pedinatori d’opinioni disallineate, no.
Quel che è certo, a cinque anni suonati di distanza, è che avrebbe dovuto farlo includendo nel prodotto finale anche il punto di vista opposto, per soddisfare l’imprescindibile esigenza del “contraddittorio”. Immaginiamoci degli altri esempi ampliando lo sguardo. Sean Penn che fatalità sta girando in Ucraina un altro documentario sulla guerra in corso incontrandosi con Zelenskij, dovrebbe allora fare tappa a Mosca, per par condicio. Alessandro Di Battista che è in Russia proprio in questi giorni a prepararne uno suo, dovrebbe infilarci dentro obbligatoriamente voci gradite, poniamo, agli americani, o ai loro adoranti armigeri nostrani. E consequenziando la logica: ogni intervista sulla faccia della Terra dovrebbe diventare a questo punto doppia, stile Iene. Ogni approfondimento sul tema dei tali, sul problema vattelappesca, sul personaggio simbolo della realtà X Y o Z, andrebbe concepito preventivamente accoppiandoci il parere avverso. Un automatismo calato dall’alto che a prescindere tratta chi legge o ascolta da semi-deficiente passivo pronto all’indottrinamento. Perciò se Fabio Fazio fa un’intervistina al Papa, per altro in posizione orante senza osare una domanda vera che sia una, secondo il pensierino binario dei contrarians a senso unico avrebbe dovuto almeno tentare di dar spazio al contraltare: a Satana, all’Unione Atei e Agnostici, o giù di lì.
Non passa loro manco per la capa che un individuo dotato di intelletto sufficientemente libero che dovesse raccontare il reale nelle più diverse possibili forme, e che non può non farlo dalla sua peculiare prospettiva - se giusta o sbagliata, è appunto questione di prospettiva - ha il sacrosanto diritto di offrire una visuale che a lui sembra più interessante e probante. Prendendosene poi la responsabilità di fronte al fruitore, che giudicherà se e quanto onesta o completa. Decisivo, semmai, è che siano moltiplicate e promosse quante più visuali possibili, così da rendere la scelta più ricca e più varia. Senza sindacare e ficcare il naso nel merito di cosa produce o crea tizio o caio. Questi qua, con la fregola censoria alle calcagna degli infiltrati, sarebbero riusciti a far scattare a suo tempo il rogo su “L’Anticristo” di Friedrich Nietzsche sol perché non conteneva, in ossequio al contraddittorio, l’opinione in materia del Cristo diretto interessato. Ovverosia di un suo qualche intollerante cattivo esegeta postumo, magari anche laico, autodichiaratosi monopolista dell’Amore contro l’Odio. Ne conosciamo parecchi.