Il vero problema di Giorgia Meloni è l’opposizione (tra cui Salvini), non perché lei sia antidemocratica e preferisca non averne, ma perché, purtroppo, lei e loro corrono a due velocità diverse. Ufficialmente loro sono Elly Schlein (Pd), in grado di non rispondere a nulla, per esempio riguardo a un possibile impegno con la Nato ad aumentare la produzione di armi in rapporto al pil (guardatevi Otto e mezzo per capire cosa intendo); Giuseppe Conte, accusato questa settimana di essere, sotto sotto, un antisemita dal capo della comunità ebraica romana, Victor Fadlun; poi ci sono Matteo Renzi e Carlo Calenda, che insieme alle loro corti di partito non riempirebbero la più piccola delle osterie bolognesi. Tutti insieme sono lenti, se non fermi, mentre Giorgia Meloni va avanti. Nel tempo: è già tra i dieci governi più longevi della storia della Repubblica (dei nuovi la supera soltanto Renzi) e visto che difficilmente il suo governo cadrà prima della fine dell’anno, avanzerà ancora di qualche posizione. Nel Parlamento: dall’ignobile e pessimo ddl sicurezza (il Daspo urbano anche solo per persone con una denuncia e non condannate, la prigione per le donne incinte, il carcere per chi manifesta pacificamente) alla giusta riforma Nordio. E all’estero, dove dopo Mario Draghi e – ancora! – Renzi ha ricevuto un premio prestigioso come il Global Citizen Awards dell’Atlantic Council (New York). È stata premiata da Elon Musk, suo devoto fan, che la definisce “ancora più bella dentro che fuori”. Il discorso di Giorgia Meloni, in un inglese all’altezza dei suoi predecessori, è un esempio di come dovrebbero essere i discorsi dei nostri politici. Chiaro, definitivo, senza ambiguità e strutturato. Vediamo insieme. È la chiarezza del politico che ci interessa, ovviamente, non del divulgatore: “Come politico, hai fondamentalmente due opzioni: essere un leader o un follower, indicare una rotta o meno, agire per il bene del proprio popolo o agire solo guidati dai sondaggi. La mia ambizione è quella di guidare, non di seguire”. Difficile negare che Giorgia Meloni sia una buona leader. Prima donna al comando di un partito di destra, prima donna premier e attualmente donna premier affiancata da altre due donne, la sorella nel partito e l’assistente Patrizia Scurti al governo. Sostanzialmente tutto ciò che la sinistra non è riuscita a fare e, vista la lunghezza del suo governo, tutto ciò che neanche i suoi alleati sono riusciti a fare prima di lei (basti pensare a quanto è stata infantile l’esperienza di Salvini al governo). La chiarezza dei leader è la risolutezza al comando.
Definitivo e senza ambiguità. Giorgia Meloni ha parlato da atlantista a favore dell’Occidente, lo ha fatto con spirito che, più che nazionalistico, lei definisce patriottico. La nostra Patria è l’Occidente, quella di Giorgia Meloni sembrava un’altra, almeno fino a qualche tempo fa, ma è avvenuto ciò che Marco Tarchi ha spiegato, a proposito di Le Pen, in un recente articolo sul Fatto quotidiano: la destra di Meloni si è istituzionalizzata, che poi non significa altro che si è scontrata con la realtà, è arrivata dove doveva e sta cercando di tornare coerente con il mondo che vuole difendere (un mondo che non può non dirsi occidentale). È anche molto attenta a evitare gli sgambetti dei media. Come abbiamo detto, è lei che rifiuta il termine “nazionalismo”, nonostante le sia stato cucito addosso accanto a “occidentale”, “nazionalismo occidentale”. Dice: “Non so se nazionalismo sia la parola corretta, perché spesso richiama dottrine di aggressione o di autoritarismo. So, però, che non dobbiamo vergognarci di usare e difendere parole e concetti come Nazione e Patriottismo, perché significano più di un luogo fisico; significano uno stato d'animo a cui si appartiene condividendo cultura, tradizioni e valori”. E sui valori è, ancora una volta, chiara e più antifascista (nonostante non si dichiari tale) di molti antifascisti che in questi mesi difendono le teocrazie islamiche o le dittature russa e cinese. Si tratta di valori non negoziabili (“Vi chiedo e mi chiedo: sono valori dei quali dovremmo vergognarci?”) che tuttavia non devono porci al di sopra di altri (c’è un rischio, “il paradosso per cui, se da un lato l'Occidente si guarda dall'alto in basso, dall'altro pretende spesso di essere superiore agli altri”). Poi la frase che fa le meches a Salvini: “Esiste una narrativa a cui i regimi autoritari tengono molto. Si tratta dell'idea dell'inevitabile declino dell'Occidente, dell'idea che le democrazie non riescano a dare risultati. Un esercito di troll e bot stranieri e maligni è impegnato a manipolare la realtà e a sfruttare le nostre contraddizioni. Ma ai fan dell'autoritarismo, lasciatemi dire molto chiaramente che difenderemo i nostri valori. Lo faremo”.
Strutturato. E torniamo al primo e unico grande problema di Meloni, l’opposizione. Giorgia Meloni, piaccia o meno, ha scomodato alcuni autori fondamentali che difficilmente chi la critica avrà letto. Sono Roger Scruton e Giuseppe Prezzolini. Del secondo cita questa frase: “Chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”. Il significato è chiaro, non c’è nessun modo ragionevole di guardare avanti senza sapere cosa c’è di solido alle spalle, sarebbe come affacciarsi da un balcone senza ringhiera. Vedi il pavimento e poi niente. È il grande rischio che corrono i progressisti, quello di spappolarsi. Ecco perché vedono nero ovunque, fascisti in ogni dove. Per colpa della distanza zero tra il loro viso e il suolo. Questa frase dice anche un’altra cosa. Che conservare non è un gioco per amanti dei tapis roulant, non si può restare fermi sul posto e fingere di correre. È il passo lento, un cammino. Qualcuno, anche in Italia, ha ricominciato a camminare. Del primo invece riprende un concetto, quello di oicofobia, paura e avversione verso la casa. È una malattia antica, l’antiamericanismo diventato più blandamente antioccidentalismo e, infine, puro senso di opposizione nei confronti di ciò che permette, a quelle stesse persone rivoltose, di opporsi. È relativismo, incapacità di distinguere non tanto tra un noi e loro (poiché è possibile superare queste differenze) ma tra un qui e un là, tra l’Italia, l’Europa, l’Occidente, e i Paesi dove trucidano gli omosessuali, impiccano dissidenti alle gru e vietano alle donne di fiatare in pubblico. Giorgia Meloni si è opposta a tutto questo e lo ha fatto senza avere, dalla sua parte, quell’opposizione ambigua che si struscia contro le dittature, meglio – e quindi peggio – di quanto non abbia mai fatto Meloni prima di diventare presidente del Consiglio. Questo è un discorso che parla all’Occidente. È triste solo che resta difficile immaginarsi per queste parole un’accoglienza simile in Italia.