Durante una puntata della trasmissione Incidente probatorio, in onda su Cusano Media Play, l’esperto di scena del crimine e tecnico balistico Enrico Manieri ha offerto una lettura critica del delitto di Garlasco, soffermandosi su un aspetto che, a suo dire, ha complicato fin dall’inizio la ricostruzione investigativa. «Anche in questo caso, Garlasco, come in Cogne, non abbiamo l’arma del delitto», ha dichiarato. «E Cogne è un caso importante che è in qualche modo collegato a Garlasco, perché è il primo caso in cui in Italia viene usata la Bpa, cioè la Blood Pattern Analysis, l’analisi degli schemi di macchie di sangue per ricostruire la dinamica». Secondo Manieri, l’errore è stato quello di applicare lo stesso schema di ragionamento a due casi molto diversi. «Il problema, paradossalmente, è proprio questo: che con Garlasco si è voluto applicare il teorema Cogne. A Garlasco abbiamo visto, nelle relazioni dei Ris, parlare di “cast off”, cioè di proiezione di macchie di sangue dovute al movimento di un’arma» ha spiegato. Nelle carte ufficiali dei Ris, infatti, viene ipotizzata una triplice aggressione avvenuta in tre momenti e in tre punti differenti della casa di Chiara Poggi. Una ricostruzione che, secondo l’esperto, è stata condizionata dall’idea che alcune macchie ematiche potessero essere proiezioni legate a un colpo inferto con un oggetto contundente.
Il confronto con il caso Cogne diventa qui decisivo. Nel delitto che portò alla condanna di Annamaria Franzoni, le macchie di sangue arrivavano fino al soffitto, un dettaglio compatibile con l’ipotesi di colpi inferti dall’alto con un oggetto in rapido movimento. A Garlasco, invece, la situazione è opposta: «Non abbiamo macchie di sangue sulle pareti a un’altezza superiore a sessanta, settanta centimetri. A Cogne avevamo macchie di sangue sul soffitto. Questo è fondamentale», ha sottolineato Manieri. Una differenza che, se confermata, renderebbe poco plausibile la lettura basata sul “cast off”. Le osservazioni dell’esperto si inseriscono in un contesto investigativo che negli ultimi mesi si è arricchito di nuovi elementi. Alcune impronte rinvenute sulla scala interna della villetta di via Pascoli, ad esempio, non corrisponderebbero alla celebre suola “Frau 42” attribuita ad Alberto Stasi, ma a un diverso tipo di calzatura, con risalti rettangolari. Si tratta di tracce sporche di sangue, difficilmente compatibili con i successivi ingressi di soccorritori e inquirenti, che hanno alimentato l’ipotesi della presenza di un secondo soggetto sulla scena del crimine. Una pista che trova eco anche nelle analisi più recenti, come quelle legate all’anomalia di un’impronta collocata proprio sotto la cosiddetta “44”, mai repertata in modo adeguato.

Un altro elemento finito al centro delle nuove perizie riguarda il telefono di casa Poggi. Sotto la cornetta, vicino alle scale, è stata individuata una macchia ellittica che, per la sua inclinazione di circa 15-20 gradi, suggerirebbe che l’apparecchio fosse sollevato al momento della caduta del sangue. Un dettaglio che, se confermato, aprirebbe scenari diversi da quelli ipotizzati nelle prime indagini, mostrando come la vittima o l’aggressore potessero aver interagito con il telefono durante la fase dell’aggressione. A rendere ancora più complesso il quadro è l’impiego delle tecniche più avanzate di analisi forense. Attraverso la modellazione tridimensionale, il laser scanner e l’uso di droni, gli esperti hanno ricostruito la scena con una precisione inedita. Queste tecnologie hanno consentito di reinterpretare le macchie ematiche e le impronte, arrivando a formulare l’ipotesi di più aggressori. Alcuni profili genetici e tracce compatibili con impronte femminili, rinvenuti sulla scena, sembrano rafforzare la possibilità di una dinamica più articolata di quella accertata nei processi conclusi con la condanna definitiva di Alberto Stasi.
Non è un caso che le indagini si stiano orientando verso nuovi approfondimenti. La professoressa Cristina Cattaneo, nota medico legale, è stata incaricata di affiancare i Ris nella revisione delle analisi tramite la Blood Pattern Analysis. I risultati delle nuove perizie sono attesi per l’autunno, tra settembre e ottobre 2025, e potrebbero rappresentare un punto di svolta nel caso. Manieri, già consulente in vicende giudiziarie di grande risonanza come quella del Mostro di Firenze e del processo Pacciani, ribadisce che la ricerca della verità non può prescindere da un’analisi attenta e contestualizzata delle prove. L’arma del delitto non è mai stata trovata, ma, secondo l’esperto, non è escluso che si tratti di un oggetto rimasto sul luogo, come un portavasi in ottone. Al di là delle ipotesi, il nodo centrale resta la necessità di distinguere tra casi simili solo in apparenza.
