Mentre il caso di Chiara Poggi sembrava chiuso con la condanna di Alberto Stasi a 16 anni, è tornato invece a far discutere con nuove teorie e indagini. A queste, si aggiungono le analisi di Enrico Manieri, criminologo ed esperto di balistica noto per aver lavorato su casi come quello del Mostro di Firenze. A pochi giorni da settembre, quando le indagini ufficiali riprenderanno a pieno ritmo, Manieri ha spinto a guardare la scena del crimine sotto un’altra luce. Secondo l’esperto, l’arma del delitto potrebbe non essere mai stata davvero individuata: non una bicicletta, non un oggetto da cucina, ma un portavaso in ferro battuto presente nella villetta dei Poggi. La sua ipotesi nasce dall’analisi delle ferite di Chiara: colpi contusivi alla nuca e escoriazioni sul volto, ma con naso e denti intatti. “Chiara potrebbe aver avuto il viso premuto contro una superficie appuntita o tagliente mentre veniva colpita alla nuca – spiega Manieri – il portavaso potrebbe essere caduto insieme a lei ed essere poi stato usato per i successivi colpi.” Un dettaglio a cui l’esperto dà peso è un colpo alla coscia sinistra, compatibile con un tacco o una punta di scarpa, e un’escoriazione da suola che non coincide con le famose “scarpe a pallini” di Stasi. Da qui l’idea di una seconda persona sulla scena, un’aggressione multipla che avrebbe fatto cadere Chiara, costringendola a urtare contro l’oggetto poi utilizzato come arma improvvisata. Manieri ipotizza anche un possibile soffocamento: l’enfisema polmonare trovato durante l’autopsia potrebbe derivare dalla pressione esercitata sulla schiena della vittima mentre era immobilizzata a terra. “Non è solo una questione di colpi – sottolinea – ma di dinamica complessiva: chi l’ha aggredita voleva tenerla ferma, e questo può aver contribuito al decesso.” Oltre all’ipotesi del portavaso, l’esperto rimette in discussione uno degli elementi che più hanno pesato nella condanna di Stasi: le sue parole sul volto della ex fidanzata. L’ex ragazzo disse che, trovandola sulle scale, la vide “pulita”, “bianca”, nonostante la scena fosse piena di sangue. Un dettaglio che agli occhi della Procura apparve come un tentativo maldestro di discolparsi. Manieri però sostiene il contrario: “La foto di Chiara, scattata prima che il corpo venisse spostato, mostra chiaramente che la guancia destra – l’unica visibile dall’alto delle scale – era priva di sangue. Chi diceva che fosse una maschera di sangue si sbagliava".

L’esperto spiega anche perché Stasi in seguito cambiò versione dopo che il maresciallo Marchetto gli mostrò un’altra foto della vittima: “Quel cambio fu dovuto alla pressione esercitata in quel momento, non a una bugia. È stato un altro errore investigativo.” A rafforzare la sua ricostruzione, Manieri porta anche un’osservazione legata alla posizione del corpo e alle ferite interne: secondo l’esperto, la disposizione delle escoriazioni sulle ginocchia e sul volto suggerisce che Chiara sia caduta frontalmente dopo un calcio ricevuto alla coscia, finendo con il viso proprio contro il portavaso. Successivamente l’oggetto sarebbe stato utilizzato per colpirla più volte alla nuca, provocando lesioni compatibili con quelle descritte nel referto autoptico. Un particolare mai approfondito a fondo è l’enfisema polmonare riscontrato durante l’autopsia: Manieri ritiene che questo possa essere stato causato da un ginocchio premuto sulla schiena della vittima, gesto che avrebbe limitato la respirazione mentre l’aggressore la teneva immobilizzata a terra. L’esperto sottolinea anche che la distribuzione del sangue sulla scena del crimine non è compatibile con l’idea di un unico assalitore: alcune strisciate e impronte, secondo la sua analisi, non coincidono con le scarpe attribuite a Stasi e potrebbero indicare la presenza di un secondo individuo mai identificato. Mentre la procura continua a lavorare tra incidente probatorio e testimonianze, questa ricostruzione - raccontata al programma Fatti di nera - pur non supportata da nuove prove materiali, aggiunge una prospettiva che potrebbe costringere a rileggere l’intero caso. E se l’arma non fosse mai stata trovata? E se Stasi avesse detto la verità su quel dettaglio ignorato per anni? Diciassette anni dopo, il delitto di Garlasco è ancora un enigma che non smette di far discutere.
