A Garlasco, il tempo sembra non passare mai. Ogni estate riporta a galla fantasmi, domande, e adesso anche Dna. Dopo Ignoto 1, Ignoto 2 e Ignoto 3 ecco che spunta pure Ignoto Zero. Ci mancava. Una traccia biologica mai messa a verbale, mai processata, ma raccontata quando la stampa seguiva ogni colpo di scena come fosse un thriller in tempo reale. È Il Giornale, nel 2007 in un pezzo firmato da Enrico Silvestri, a parlare per la prima volta di un Dna ricavato da residui sebacei lasciati dal killer sul pigiama insanguinato di Chiara Poggi. “L’ultimo colpo inferto a Chiara potrebbe essere stato fatale anche al suo assassino. Per meglio sferrarle il fendente sulla nuca, il killer ha infatti bloccato la vittima con una mano sulla spalla. E le sue dita, intrise del sangue della ragazza, hanno lasciato impronte sul tessuto e residui sebacei da cui è già stato ricavato il Dna”. Un passaggio pesante come un colpo di martello: il sudore misto a sangue che racconta un contatto diretto, fisico, definitivo. E un’identità potenzialmente rivelata. Ma che fine ha fatto quel Dna? La palmare 33, quella manata insanguinata sul muro della cantina, oggi è attribuita ad Andrea Sempio, ma nel 2007 era raccontata come la firma del killer. “Qui l’assassino completa il massacro, scriveva Silvestri, ma per farlo compie un errore madornale. La ragazza è stesa bocconi sui gradini, lui si china, ma perde l’equilibrio, si appoggia al muro, lasciando una prima impronta”. Il 4 settembre, un’altra rivelazione: “Sul tessuto è rimasta impressa un’impronta mentre, mischiato alla sostanza ematica, c’era il sudore del killer, che è stato possibile isolare, risalendo al suo Dna”, scriveva ancora Il Giornale. E La Provincia Pavese aggiungeva i nomi degli esperti del RIS coinvolti.

Peccato che di tutto questo, nei fascicoli ufficiali, non resti nulla. Niente verbale, nessun codice genetico archiviato. Solo una leggenda. Anzi, una voce che corre da investigatore a investigatore: le impronte insanguinate sarebbero state cancellate da una pozza di sangue quando il corpo di Chiara venne spostato dopo la sua scoperta sulle scale interne della villetta. L’unica prova tangibile era proprio quella palmare insanguinata, fotografata e citata persino nella memoria del sostituto procuratore generale Laura Barbaini all’Appello bis del 2014. Eppure, nella relazione del RIS del 2007, nessuna traccia della famosa impronta. Il mistero si infittisce quando, proprio il 4 settembre, in assenza della difesa di Stasi, mai convocata, dicono, viene grattato l’intonaco dal muro dove era impressa la palmare 33. Da allora, intonaco sparito, nessun verbale di distruzione o conservazione. Silenzio. Oblio. Nel frattempo, il giornalista Silvestri, che per primo scrisse del Dna nel sudore, rivendica le sue fonti: “Le informazioni mi arrivarono da Marzio Capra, all’epoca nel RIS e oggi consulente di parte civile, e dall’avvocato della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni”. Ma Luciano Garofano, ex comandante dei RIS e oggi consulente di Sempio, liquida tutto: “L’ennesima suggestione”. E se invece fosse l’ennesima omissione?

