Ventitré minuti. Secondo la sentenza definitiva che ha condannato Alberto Stasi, sarebbero bastati poco meno di mezz’ora, tra le 9.12 e le 9.35 del 13 agosto 2007, per uccidere la fidanzata Chiara Poggi. Ma qualcosa non torna. E adesso, nella nuova inchiesta aperta dalla Procura di Pavia, che indaga Andrea Sempio per omicidio in concorso con ignoti, il puzzle si è di nuovo sparpagliato sul tavolo. Già nel 2007 l’autopsia aveva indicato un altro orario per la morte della ragazza: tra le 10.30 e le 12.30, con un picco intorno alle 11. Il medico legale Marco Ballardini lo mise nero su bianco. Ma fu ignorato. Perché? Per far combaciare tutto con l’alibi di Stasi. Forse. Ma ora, a 18 anni di distanza, si scopre che già quel giorno, mentre ufficialmente il cadavere veniva scoperto solo alle 13.50, qualcuno parlava della morte di Chiara alle 11.30 tra le bancarelle di Vigevano. È stato l’avvocato di Sempio, Massimo Lovati, a raccontarlo. E ancora: Angela Taccia, anche lei avvocato e amica di Sempio, ha rivelato di essere stata avvisata tra le 14 e le 14.30 dal fidanzato Alessandro Biasibetti, che si trovava in montagna con la famiglia Poggi, ignara di tutto fino alle 15.30, quando i carabinieri riescono a contattare la madre Rita. Ma se nessuno sapeva nulla fino al pomeriggio, com’è possibile che la notizia girasse ore prima?

Poi c’è quel video. Quattro giorni dopo il delitto, in caserma, una delle gemelle di cugina di Chiara abbraccia Stasi e gli chiede come abbia trovato il corpo. “Secondo me è stata una rapina finita male”, dice lui. “Ma alle 9 e mezza?”, ribatte la ragazza. Una frase buttata lì, ma strana. Stranissima. Perché allora nessuno aveva ancora stabilito l’ora della morte. Ora il medico legale Pasquale Bacco rimette tutto in discussione, in un’analisi pubblicata da Gente. “Il cuore di Chiara ha smesso di battere alle 11”, afferma. E per dirlo si basa su tre elementi fondamentali: il rigor mortis, la temperatura corporea e l’ipostasi. Il primo: la rigidità cadaverica si manifesta dopo circa tre ore dal decesso. Quando il 118 arriva, verso le 14, il corpo non è rigido. Tradotto: Chiara è morta non prima delle 11. Il secondo: la temperatura del cadavere. Alle 17 Chiara misura 33,1 gradi. Ne ha persi 4 da quando era viva. Il calcolo porta, di nuovo, alle 11. Terzo: l’ipostasi, le macchie di sangue che si spostano nei cadaveri. Anche queste, secondo Ballardini, sono ancora mobili alle 17. Ancora una volta: ore 11. C’è di più. Il contenuto dello stomaco, poltiglia, niente cibi distinguibili, dimostra che la digestione era avanzata. Aveva fatto colazione, e da un po’. E i segni sul corpo non raccontano solo violenza, ma qualcosa di peggio. “Tagli simmetrici sulle palpebre, foro alla tempia sinistra, lesioni sul viso non mortali, poi il colpo fatale all’occipite”, elenca Bacco. Chiara sarebbe stata torturata. E non da una sola persona. “Almeno due”, dice il medico. E chi ha inferto quei tagli sugli occhi “non era alla sua prima volta”. Secondo Bacco, la ragazza potrebbe essere rimasta in vita solo a livello cardiaco, una sopravvivenza “agonizzante”, anche dopo le prime lesioni. Fino al colpo finale. Tra le 10 e le 11. Tutto, insomma, porta lì. Ma allora perché abbiamo creduto ai 23 minuti? Perché dovevamo. Per far quadrare la versione sbagliata di una verità che, forse, non è mai stata raccontata davvero.

