Diciotto anni dopo il delitto di Garlasco, la notizia è di quelle che fanno rumore, tanto. E anche un po’ paura. La garza usata per il tampone nella bocca di Chiara Poggi era contaminata. E non da una sola persona, ma da due. Da un infermiere e, particolare ancora più inquietante, dal Dna completo di un altro cadavere. Lo ha comunicato ufficialmente la Procura di Pavia, e a riportarlo è il settimanale Giallo, diretto da Albina Perri. Per l’avvocata Giada Bocellari, che difende Alberto Stasi, questa è la prova di un disastro giudiziario. «Se fossimo in un altro ordinamento, non si parlerebbe di revisione: ci sarebbe l’annullamento della condanna», dice lei. E intanto Stasi si trova ancora in carcere. Dal 2015. A raccogliere le parole dell’avvocata è stata anche la YouTuber Francesca Bugamelli, che sul suo canale Bugalalla crime ha dato spazio a un'intervista in cui la Bocellari non le manda certo a dire: «Non possiamo far finta che questa sia una cosa normale. Parliamo di un’autopsia giudiziaria. E su quella garza c’è il Dna di un altro morto». Chi ha messo quella garza nella bocca di Chiara, probabilmente ha usato un arnese non sterilizzato, già impiegato in un’autopsia precedente. Uno sbaglio clamoroso. Ma non l’unico. Il corpo di Chiara non fu pesato, non le furono prese le impronte digitali (costringendo alla riesumazione post-funerale), e la scena del crimine fu violata da almeno tre carabinieri senza guanti, che lasciarono impronte palmari su muri e porte.

Nel 2007 si parlava di Dna trovato sul pedale di una bici. Ma adesso ci si chiede: come vennero eseguiti quegli accertamenti? E che dire del sangue che non era sotto le scarpe di Stasi, sequestrate ore dopo? O del portasapone che fu considerato “elemento di prova” e poi accantonato? La nuova perizia ha svelato il trucco: l’intero impianto accusatorio si reggeva su analisi compromesse, errori macroscopici e un’impostazione più politica che scientifica. A essere messo in discussione non è solo il metodo, ma il senso stesso della condanna. «Molti errori stanno venendo fuori adesso. Io non li conoscevo. Ma già all’epoca c’erano motivi per dubitare», ha detto la Bocellari. Tra questi: i famosi 23 minuti in cui Alberto avrebbe avuto il tempo di entrare in casa Poggi, uccidere Chiara, ripulirsi, uscire e far sparire tutto. Ventitré minuti netti. E oggi, quei minuti sembrano sempre più pochi. La Procura di Pavia ha dimostrato (finalmente) di voler rivedere tutto. E forse sarà proprio l’accusa, prima ancora della difesa, a chiedere una revisione del processo. Intanto, a parlare, fuori dai tribunali, ci pensano i giornalisti, gli avvocati e le YouTuber. Quelli che riportano i dettagli e fanno domande che bruciano. Tipo: che cosa resta, davvero, contro Alberto Stasi?

