Sono passati quasi tre anni e mezzo da quel maledetto 14 dicembre del 2021 quando Liliana Resinovich uscì dalla sua abitazione per non farvi mai più ritorno e fu poi ritrovata cadavere, avvolta in due sacchi neri dell’immondizia, nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, poco lontano dalla sua abitazione. La vicenda ha avuto un ampio clamore mediatico che ha visto coinvolti da un lato il marito Sebastiano Visintin e dall’altro “l’amico speciale” Claudio Sterpin e i familiari di Lilly, come erano soliti chiamarla i suoi affetti più intimi. In questi tre anni e mezzo moltissime sono state le interviste televisive rilasciate dai protagonisti di uno dei casi di cronaca più discussi degli ultimi tempi con scambi di reciproche accuse e recriminazioni e poche le certezze investigative se pensiamo che fino a qualche mese fa la Procura era convinta che si fosse trattato di un suicidio e si era arrivati molto vicino all’archiviazione. L’opinione pubblica che non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio si è sempre domandata per quale motivo gli investigatori non avessero mai preso in considerazione una pista alternativa e come mai nessuno fosse mai finito nel registro degli indagati sebbene le modalità con cui il corpo della sessantatreenne pensionata di Trieste fosse stato trovato facevano pensare a tutto fuorché ad un gesto volontario. La tesi da sempre portata avanti da Sterpin e dalla cugina di Lilly, Silvia Radin, che la donna avesse intenzione di lasciare il marito per intraprendere una nuova pagina della sua vita accanto allo stesso Sterpin, oltre a costituire un possibile movente per chi ipotizzava una responsabilità del marito, tratteggiava il ritratto di una persona piena di progetti e vitalità che mal si adattava all’intenzione di togliersi la vita ma dai rilievi autoptici della prima consulenza medico legale non erano emersi fattori che facessero propendere per strade diverse.


A quel tempo Sebastiano Visintin era spesso presente in varie trasmissioni televisive e rispondeva volentieri non solo alle domande dei conduttori e degli inviati ma anche a quelle degli esperti, dei giornalisti e degli opinionisti presenti in studio ma c’era una domanda in particolare, rivoltagli anche dalla sottoscritta, alla quale non ha mai risposto in maniera chiara e decisa ovvero come mai avesse dichiarato in più occasioni che era giunto il momento per procedere alla cremazione del corpo di Lilly. Forse Sebastiano era convinto che la Procura, una volta sposata la tesi del suicidio, si sarebbe affrettata ad archiviare il caso? Oppure era consapevole che in caso di cremazione non sarebbe più stato possibile effettuare la riesumazione della salma e una nuova autopsia come chiedevano a gran voce il fratello, la cugina e alcuni amici di Lilly? Sappiamo poi che le indagini hanno preso un altro corso, che non solo non c’è stata alcuna archiviazione ma che grazie alla nuova consulenza dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo e grazie alle risultanze della nuova autopsia la Procura ha stabilito che Lilly non si è suicidata ma è stata uccisa e, nelle ultime ore, suo marito è stato inscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal legame di coniugio. Certamente il fatto che Sebastiano Visintin non abbia mai risposto con chiarezza a quella e ad altre domande che riguardano il suo alibi e la gita in bici a favore di go pro la mattina della scomparsa di Lilly non fanno di lui un assassino perché è doveroso ricordare che il vedovo di Lilliana Resinovich rimane innocente fino a sentenza passata in giudicato. Come non fanno di lui un assassino la lunga perquisizione ad opera degli inquirenti nella sua abitazione la scorsa settimana e il conseguente sequestro di circa 700 oggetti tra coltelli, forbici, un maglione e un paio di guanti, molto probabilmente quelli che Visintin indossava la mattina della scomparsa di Lilly. Quello che però va altresì sottolineato è che se Sergio Resinovich e Silvia Radin, rispettivamente fratello e cugina di Lilly, non avessero combattuto per anni con tutte le loro forze e non avessero insistito affinché la Procura non liquidasse la morte di Lilly come un suicidio, non si sarebbero fatti questi nuovi e importanti passi avanti e non ci sarebbe stata quella svolta che tutti speriamo possa finalmente portare alla verità sulla morte di una donna che amava la vita e avrebbe voluto continuare a viverla assecondando le proprie aspettative e i propri desideri.

