Sebastiano Visintin pedala tra i monti della Carinzia, in sella a una mountain bike a pedalata assistita. Lago del Predil, Sella Nevea, Chiusaforte. Una fuga lieve, quasi un rito: lo stesso gruppo di amici, la stessa sauna, il tuffo nel lago gelato. Ma questa volta è diverso. Da martedì è ufficialmente indagato per l’omicidio di sua moglie, Liliana Resinovich, trovata morta a Trieste nel gennaio 2022. E ora, quella pedalata ha un’altra temperatura. Ex fotografo e arrotino, Visintin ha lasciato Trieste il giorno dopo la perquisizione della Squadra Mobile. I poliziotti hanno passato ore in casa sua: coltelli, forbici, guanti, un maglione giallo. Hanno preso tutto. Materiale che potrebbe incastrarlo, o scagionarlo. Ma intanto, l’inchiesta stringe e la perizia firmata da Cristina Cattaneo parla chiaro: sul corpo di Liliana c’era un’impronta lasciata da un guanto e un filamento compatibile con un maglione giallo. Uno simile è finito sotto sequestro.


In Austria, Visintin viene raggiunto dalle telecamere di Storie Italiane. Sorriso accennato, gesto con la mano: «Un caffè?». Poi si tira indietro: «È il momento del silenzio». Il giorno prima aveva parlato, eccome: «Non sto bene, sono venuto a riposarmi. Non mi aspettavo di essere l’unico indagato, anche altri dovrebbero esserlo». Con tono pacato, quasi rassegnato, ha snocciolato alibi e routine: «La mattina del delitto ero a casa. Poi sono passato al laboratorio. Tutto certificato: go-pro, telefoni, tracciamenti. Secondo te uno che uccide la moglie poi si mette la go-pro e va in giro per il Carso?». Eppure qualcosa non torna. I guanti, il maglione, i dubbi mai spenti. A tre anni dalla morte di Liliana, le piste si restringono. E mentre Visintin si concede una sauna e una “lauta cena”, le domande restano. Come il freddo. Quello del lago, e quello di una verità ancora sepolta.

