A Storie Italiane, Silvia Radin, cugina di Liliana Resinovich, ha fornito nuovi dettagli sul caso che da tre anni tiene in sospeso la città di Trieste. Al centro delle sue dichiarazioni l’analisi dei cellulari e degli spostamenti di Sebastiano Visintin, marito di Liliana, la cui condotta la mattina dell'omicidio continua a sollevare molti dubbi. Secondo la testimonianza di Silvia, Sebastiano non parlerebbe mai di un solo cellulare, ma sempre al plurale. "Lui ne ha almeno cinque", sottolinea la cugina. Eppure, uno dei dispositivi gli è stato sequestrato, ma "è stato formattato", mentre sugli altri nessuna traccia. Un dettaglio che apre diversi interrogativi, soprattutto considerando che in casa di Sebastiano c’erano vari dispositivi elettronici: macchine fotografiche, GoPro e altre attrezzature. "Perché non si è mai indagato su questi elementi?", si chiede Silvia. Un altro aspetto inquietante riguarda i testimoni di una discussione che sarebbe avvenuta in un boschetto, poche ore dopo la scomparsa di Liliana. Alcune persone avevano sentito urla e voci di uomini e donne, ma le dichiarazioni sono state ritenute poco credibili, dato che le urla sarebbero proseguite anche dopo il presunto suicidio della donna. Ma Silvia non si ferma qui: "Non è solo una questione di cellulari o sacchetti, ma di come hanno lavorato gli inquirenti", ribadisce con rabbia. "Hanno scritto subito ‘suicidio’. Ma se vedeste il viso di Liliana, altro che pugile sul ring. C'è dell’odio puro in quello che è successo".


Inoltre, c’è un buco di tre ore nel traffico telefonico di Sebastiano la mattina della sparizione di Liliana. Un elemento che, secondo la cugina, necessita di un approfondimento urgente. "La procura ha già questi dati, i nostri tecnici li hanno depositati", afferma, sollecitando un esame più accurato delle prove. E aggiunge: "Abbiamo sempre detto che un suicidio non sarebbe mai stato possibile, perché nessuno ci ha mai ascoltato?". Silvia ricorda anche alcuni fatti antecedenti alla morte di Liliana, come un litigio avvenuto durante una cena il 13 dicembre, e la testimonianza di Laura Grassi, che aveva riferito di una discussione riguardo al telefono della nipote di Sebastiano. "Il matrimonio era finito da mesi", afferma, mettendo in evidenza le problematiche nel rapporto tra i coniugi. "Non sto accusando Sebastiano di essere l’assassino, ma voglio che ogni dettaglio venga esaminato con attenzione", prosegue la cugina. "Come mai una famiglia deve andare in TV ogni giorno per chiedere la verità? Gli inquirenti sono pagati per questo, eppure sembrano ignorare delle evidenze". Sebastiano, infine, ha dichiarato di essere rientrato a casa alle 10:30, trovando la luce accesa, un particolare che, secondo Silvia, andrebbe indagato anche attraverso l’analisi del cellulare. "Bisognerebbe capire meglio cosa c’era dietro quel dettaglio", conclude. Tre anni e mezzo dopo la morte di Liliana, la ricerca della verità è ancora lontana. Gli inquirenti hanno molta strada da fare per risolvere il caso e portare finalmente giustizia alla donna uccisa.

