La morte di Liliana Resinovich, avvenuta quanto sembrerebbe il 14 gennaio 2021, è un caso che continua sempre più ad essere avvolto dal mistero, eppure le ultime perizie hanno svelato nuovi e inquietanti dettagli. La 63enne di Trieste, scomparsa per 22 giorni prima di essere ritrovata senza vita, potrebbe essere stata uccisa lo stesso giorno della sua sparizione. A confermarlo è un gruppo di esperti – tra cui la professoressa Cristina Cattaneo e altri periti di fama – che hanno analizzato i dati emersi dalle indagini. Secondo la perizia, Liliana sarebbe stata aggredita e soffocata, con un’ostruzione delle vie respiratorie. L’asfissia meccanica esterna è, infatti, la causa di morte conclamata: l’omicida avrebbe bloccato naso e bocca della donna mentre era probabilmente incosciente, provocando la sua morte in tempi brevi. Le lesioni rinvenute sul corpo non lasciano dubbi sulla violenza dell’atto: i poli d’urto, che risultano incompatibili con una caduta accidentale, sono la prova di un’aggressione. Gli esperti parlano di "plurimi poli d’urto al capo" che potrebbero essere stati causati sia dall’aggressione fisica, che dalla stessa soffocazione. Il viso di Liliana, infatti, presentava segni evidenti di violenza, con lesioni su più punti del corpo, come la testa e la mano. La perizia esclude anche l’ipotesi del suicidio: le evidenti tracce di lotta sul corpo e gli altri indizi riscontrati sono incompatibili con questa ipotesi. A far emergere altri dettagli chiave sono anche le analisi sul contenuto gastrico, che hanno permesso di stabilire il momento della morte. Le uvette nel suo stomaco erano ancora in fase di digestione, suggerendo che Liliana è stata uccisa nelle prime ore del 14 gennaio, tra la colazione e le 4 ore successive. Un intervallo di tempo che coincide con la mattina in cui la donna scomparve senza lasciare tracce.


Le immagini delle telecamere di sorveglianza mostrano Liliana uscire di casa poco dopo le 8:30. L'ultima volta che viene ripresa è alle 8:42, quando si trova vicino alla Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato. Poi, per ventidue giorni, nessuna traccia di lei. Quando il corpo viene ritrovato, avvolto in due sacchi della spazzatura, è in posizione fetale, con la borsa a tracolla, lo stesso abbigliamento della mattina della sua scomparsa: piumino grigio, jeans e borsa scura. Questo fatto ha spinto gli investigatori a ipotizzare che Liliana fosse stata costretta a salire su un mezzo da qualcuno che conosceva, forse per una rapida aggressione culminata con la sua morte. Ma chi potrebbe essere stato? Le lesioni sul corpo fanno pensare a un’aggressione rapida, in cui Liliana, presa alla sprovvista, ha cercato di difendersi, senza però riuscire a fermare l’aggressore. La vittima era una persona molto metodica e abitudinaria, e quindi improbabile che si sarebbe fatta trasportare da un estraneo senza lottare. Le ipotesi si concentrano così su chi potesse essere vicino a Liliana, una persona di fiducia che l’ha convinta a salire su un mezzo senza destare sospetti. Le indagini si concentrano ora sulle persone a lei vicine, e in particolare sul marito, Sebastiano Visentin, il cui alibi della mattina del 14 gennaio appare vago e contraddittorio. Il suo telefono si disconnette alle 9:12 e rimane irraggiungibile fino alle 12:13, un lasso di tempo che ora assume una nuova valenza, alla luce delle nuove perizie. Le indagini si concentreranno anche sulla GoPro di Visintin e sui dispositivi informatici di coloro che avevano rapporti con la donna, come l’amante Claudio Sterpin. La morte di Liliana Resinovich potrebbe essere la chiave per svelare un mistero che fino ad oggi ha lasciato più domande che risposte. Le indagini ora, anche alla luce di nuove perizie, sembrano davvero vicine a un punto di svolta.

