Sono circolate ovunque le immagini di quella sera del 9 marzo, quando in Darsena, nel pieno centro di Milano, un gruppo di ragazzi ha aggredito ferocemente un ragazzo straniero. Sul caso le forze dell'ordine stanno indagando da domenica mattina, quando un video che mostra circa 40 secondi di brutale giustizia fai da te ha invaso i social. “Non ho fatto niente, te lo giuro” lo si sente urlare prima di essere scaraventato a terra dai pugni. “Ci avete rotto il caz*o” risponde un membro del gruppo – dalle immagini sembrerebbero almeno tre persone – a cui se ne aggiunge una quarta che riprende la scena smartphone alla mano. È così che le “ronde anti-maranza” applicano la propria idea di giustizia. Un'idea rigorosamente privata, che non conosce Stato né istituzioni e anzi, trae linfa vitale proprio dal fallimento di quest'ultime. Allo Sato o meglio, alla Costituzione, loro si appellano eccome, rivendicando che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. È l’Articolo 52 della nostra carta fondamentale, ma anche il nome di un movimento che attorno a quelle parole si sta organizzando per “raggruppare tante persone mosse dal sentimento di impotenza che provano verso il Disagio nella nostra città”. Lo scopo finale è quello di organizzare sparsi sul territorio e pattugliare le strade, aggredendo ogni possibile sospettato. Nell’episodio della Darsena, così come in altri casi, poco importa quale sia il presunto crimine dell’obiettivo dell’aggressione. In quel caso sembrerebbe essere il furto di una collana, che nel video non compare, ma come detto poco importa. L’importante sembra essere identificare un obiettivo, spesso appunto i “maranza”, cioè i gruppi di ragazzi di seconda generazione provenienti da famiglie arrivate in Italia, e colpire forte: “Queste bestie se ne fregano della vostra debole e inutile giustizia”, si legge nella didascalia che accompagna il video del pestaggio: “Se non c’è un braccio armato di solide manette, la legge rimane lettera morte e vile”, scrive il movimento.

“Gruppo Milano ovest, nord, est, sud”. È in questo modo che Articolo 52 si sta radicando sul territorio, affidandosi ad una pagina Instagram che conta per ora 12mila follower e a più canali Telegram chesuperano complessivamente i 10mila iscritti. La prima funge da vetrina in cui mostrare maranza “catturati” e “placcati”, condividere episodi di insicurezza nelle strade o in metropolitana o, come accade in queste ultime ore, per ammantare quei video tanto brutali quanto chiari con la propria versione. Una versione contrapposta a quella dei criticatissimi media, e che nutre la retorica del “vogliono zittirci”. Sul canale Telegram "Gli Orgogliosi" cresce invece il vero e proprio seme di tutto, “l’idea” come si definisce il movimento stesso, che però fino ad ora sembra viaggiare su binari diversi rispetto a quelli di un neo-squadrismo tout court. Pochi toni propagandistici, un’estetica scarna e priva di qualunque simbolismo storico-politico, apparentemente nessuno slogan neo-fascista e soprattutto, lo scarso, quasi irrilevante, riferimento alla politica odierna: “la sinistra non si informa sulle cause per cui tanti italiani vogliono unirsi a noi” e “la nostra Italia negli ultimi anni è stata sempre maltrattata da governi fasulli di destra”. Si va invece molto più pesante sulla magistratura, definita “corrotta e nemica del popolo”. Per il resto, un breve e conciso manifesto programmatico, stop.


“Non siamo una milizia”, esordisce il messaggio fissato in testa al canale Telegram: “Articolo 52 è un’idea siamo riusciti a raggruppare tante persone mosse dal sentimento di impotenza che provano verso il Disagio nella nostra città. Una community dove persone delle stesse zone possono scambiarsi segnalazioni e trovare compagni con cui organizzarsi PRIVATAMENTE (con le opportuneverifiche) per pattugliare le strade”. L’elemento più inquietante riguarda proprio la natura del movimento, che sembrerebbe più simile a un “mercato della paura” in un contesto già percepito come para, se non addirittura post-statale. Un luogo in cui la domanda di maggior sicurezza e l’offerta di giustizia privata si incontrano. Per la serie: “hai paura a passeggiare sotto casa per colpa di qualche maranza? Qui puoi unirti a chi può aiutarti a risolvere il problema”. Anche con le botte, s’intende. Questo elemento è sintetizzato perfettamente nelle parole che il movimento utilizza per descriversi, che lo dipingono come un’idea “replicabile” e senza “un leader”. In pratica, un soggetto fluido e orizzontale, in grado di moltiplicarsi e agire all’istante, pensato per essere più vicino ai tempi di Instagram che a quelli della giustizia: “Noi preveniamo”, recita una delle ultime storie condivise su Instagram, insieme ad un’altra in cui si far riferimento a tutto il sostegno arrivato negli ultimi giorni. Intanto il gruppo cresce, anche grazie alle donanzioni pubblicizzate sui canali del m ovimento. L’impressione è che questa sia una storia non riguardi solo temi spesso politicizzati che devono tuttavia esssere affrontati, come il legittimo biosgno di sicurezza e il necessario contrasto alla microcriminalità, ma che abbia radici molto più profonde destinate a restare a lungo, indipendentemente dal movimento Articolo 52. Radici che si legano con l’inquietante trasformazione che ha già trasfigurato la nostra società.

