Il Ddl Sicurezza (ddl 1660) è passato alla Camera con 162 voti favorevoli e 91 contrari e ora il progetto di legge segna un’ulteriore svolta autoritaria del nostro Paese? Qualsiasi manifestazione pacifica in carcere diventa rivolta, un blocco stradale può costarti da un mese a due anni di carcere, i migranti irregolari non potranno avere una sim, chi occupa una casa avrà dai due ai sette anni di prigione e si dà facoltà alle forze dell’ordine di utilizzare alcuni tipi di arma anche fuori dall’orario lavorativo. La criminalizzazione del dissenso e le misure carcerarie sembrerebbero un controsenso per chi dice di voler difendere i valori occidentali. Secondo il poeta Demetrio Marra (autore di Non sappiamo come continuare: nove processi biofisici, una raccolta autoprodotta), invece, le azioni del governo Meloni su immigrazione e sicurezza sono coerenti con il nostro sistema politico e con il capitalismo. Per questo da anni, a Milano, si impegna in azioni di mutualismo e sostegno, e il 26 novembre scorso ha scelto di partecipare a un flashbmob in Stazione Centrale, simbolo del “rilancio securitario” meloniano e al centro della propaganda anti-immigrazione della maggioranza. E per questo, il 7 dicembre tornerà un’altra volta in piazza.
Perché siete andati a fare il flashmob alla Stazione Centrale di Milano?
Non eravamo ovviamente soli. Assieme a noi di Mutuo Soccorso Milano Aps c’era il Csa Lambretta e c’erano numerose realtà che agiscono quotidianamente, come il Naga, la rete Ci Siamo (che sta lottando per dare una casa alle persone che l’hanno perduta in un incendio in via Fracastoro a Milano), Abitare in via Padova, Ugs Lombardia… Per rispondere alla tua domanda: perché la destra ha sempre utilizzato la Stazione Centrale come simbolo di disagio, di insicurezza e di mancanza di decoro per parlare di securitarismo, per chiedere il presidio di militari e polizia, insomma per fare i soliti discorsi. Noi sappiamo bene che il dispositivo del decoro non solo è una grande truffa ideologica, ma è anche stata disinnescato ampiamente da studi in cui si dimostra che non influenza la criminalità. C’è un bel libro di Wolf Bukowski a proposito, pubblicato da Alegre, si intitola La buona educazione degli oppressi. Perché la Stazione Centrale? Perché naturalmente lì si concentra una parte delle persone transitanti e delle persone migranti, che tra l’altro sono due cose molto diverse.
Come mai le persone migranti si concentrano in Stazione Centrale?
Perché dopo la traversata in mare o la traversata in aereo o la traversata via terra le persone tendono ad andare nelle città che dovrebbero essere più adeguate ad attivare meccanismi di accoglienza. Quindi si muovono verso Roma, verso Milano, verso Torino, verso anche città magari di frontiera e la Stazione Centrale diventa un luogo di appoggio in attesa della protezione internazionale o del permesso di soggiorno, che arrivano tardissimo.
Perché?
Queste persone subiscono torture ai confini, devono affrontare viaggi lunghissimi e pericolosissimi e spesso senza cibo né acqua, senza dormire e così via; poi arrivano in Italia, vengono sballottate a destra e a sinistra, vengono rimandati indietro, vengono trasferiti, spesso solo perché medializzati, cioè strumentalizzati per fare propaganda (l’ultima assurdità la costruzione di cpr in Albania, quindi c’è anche ormai il rischio che vengano deportate). Quando arrivano a Milano sembra loro di essere arrivati alla fine del percorso, perché potranno fare richiesta per rimanere in Italia, venendo loro riconosciuta la protezione internazionale. Ma a Milano, come in tutte le città d’Italia, non c’è una procedura trasparente per farlo. Nello specifico: a Milano ci sarebbe uno sportello online per la prenotazione, ma di fatto non funziona e le risorse economiche per attivare gli uffici non sono adeguate. Quindi quelle persone che sostano in Stazione Centrale sono persone transitanti, nel senso che vorrebbero andare in altri Paesi, o migranti che vorrebbero rimanere, ma non hanno letteralmente la possibilità di farlo legalmente. Scrissi un reportage per lay0ut, tempo fa, perché prima dell’attivazione dello sportello online addirittura erano costretti a code di decine di metri, al freddo, di notte…
E come sopravvivono nel frattempo?
La Stazione Centrale è stata individuata un paio di anni fa come il luogo per le attività di mutualismo di Mutuo Soccorso Milano Aps, che è l’associazione di promozione sociale di cui faccio parte e che ha promosso, con tante altre realtà, l’azione (o flashmob, che dir si voglia) di martedì scorso. Il progetto Drago Verde il mercoledì e la domenica cucina cibo recuperato di fatto da supermercati che lo butterebbero, da ortomercati, ma anche da panetterie, bar eccetera, e poi lo distribuisce in luoghi cardine dove si concentrano parte delle persone che ne hanno bisogno. La Stazione Centrale è uno di questi luoghi.
Quali sono gli altri?
C’è ovviamente la stazione di Milano Lambrate, c’è San Babila e c’è anche il naviglio della Martesana, anche se ultimamente sia Martesana sia Centrale sono un po’ in crisi come luoghi di aggregazione.
Perché?
Perché Milano, appunto, prendendo per obiettivo, come simbolo della mancanza di decoro e di sicurezza, proprio la Stazione Centrale (il naviglio della Martesana è poco distante). La piazza duca d’Aosta è praticamente militarizzata. Non so te, ma io mi sento poco sicuro passando a fianco a un soldato con il mitra in braccio, ma sarà. Le persone senza fissa dimora e le persone transitanti e migranti che hanno solo bisogno di stare da qualche parte, di un po’ di luce e una limitata dose di calore, sono stati costretti ad andare via. Noi abbiamo scelto simbolicamente la Stazione Centrale di Milano per questo motivo, perché ci abbiamo lavorato, abbiamo conosciuto le persone che hanno vissuto lì, ci abbiamo parlato, abbiamo fatto un lavoro lungo anni. Ricordo una volta, mentre distribuivamo una pasta al sugo e legumi molto buona, che un ragazzo ha alzato la voce contro di noi perché il cibo non era abbastanza, aveva bisogno di dormire! Non di mangiare! Di dormire bene per una notte sola, non ce la faceva più.
Milano è considerata dagli osservatori sulla sicurezza, per esempio quello del Sole 24 ore, la città più pericolosa d’Italia e una recente analisi fatta dal Corriere della Sera mostra come il problema ovviamente non sia il tasso alto di omicidi, per dire, ma la microcriminalità.
Che Milano sia la città più pericolosa in termini di microcriminalità non mi stupisce, perché se vai a cercare anche gli studi scientifici su questo fenomeno vedi qual è tipicamente il contesto socioeconomico in cui si sviluppa. Milano è la città in Italia dove le differenze tra le persone ricche e le persone povere sono maggiori. È la città anche dove, sì, ci sono più opportunità lavorative e culturali, ma a che prezzo? Le persone che vengono a lavorare qui sicuramente trovano lavoro, hanno uno stipendio, ma hanno uno stipendio che è largamente insufficiente per vivere una vita dignitosa. Eppure, le persone legittimamente vogliono rimanere (non è un diritto scegliere dove vivere?) e sono costrette ad avere una vita, qui sì, all’insegna dell’insicurezza. La microcriminalità è correlata alle difficoltà economiche. Non dico che le persone in difficoltà diventano criminali (che è una stupidaggine atroce), ma che la criminalità e la microcriminalità sfrutta il dolore. Che il problema di Milano sia la microcriminalità mi sembra non solo un dispositivo retorico, ma anche uno spostamento vero e proprio.
Da cosa?
Il vero problema di Milano è la macrocriminalità, cioè la criminalità finanziaria, la speculazione immobiliare, la ‘ndrangheta. L’Expo di Milano è stata costruita con i soldi della ‘ndrangheta, e con i soldi della ‘ndrangheta verranno costruite le infrastrutture per le Olimpiadi invernali di Milano Cortina. Consiglio di leggere un libro di Lucia Tozzi, L’invenzione di Milano, che evidenzia proprio come Milano abbia negli ultimi anni, negli ultimi venti anni, proprio a partire dall’Expo, avviato una sorta di transizione verso l’esclusività di permanenza.
Che significa?
Che c’è in programma di far diventare Milano la città della finanza, della moda, dell’arte, del food, insomma dell’economia e della cultura (insieme), non per tutti. Hanno lavorato per far sì che a rimanere a Milano possano essere solo persone che hanno o un alto reddito, oppure che lo faranno per poco. I consulenti, i politici, gli imprenditori, i vip oppure gli studenti (nei co-housing a duemila euro a testa), i turisti e così via. È una selezione di classe e, ovviamente, una selezione etnica.
Intanto la sinistra parlamentare che fa?
Magari tu consideri il Pd un partito di sinistra, ma nei fatti è un partito di sinistra forse solo sul piano della guerra simbolica, come direbbe Mimmo Cangiano, sulle questioni legate ai diritti civili, almeno nell’immaginario collettivo; perché il primo vero e proprio Decreto Sicurezza, su cui poi si sono innestati i vari decreti di Salvini, è quello di Minniti del 2017. Quindi un provvedimento ascritto alla cosiddetta sinistra, ma che in realtà non è sinistra. Il Partito Democratico imita il posizionamento dei democratici americani, quindi un partito al massimo di centro ed espressamente liberale. Anche il Pd, come tanti altri partiti di centro e centrodestra, può soltanto avere piacere che un ddl come l’ex 1660 passi, perché fornisce enormi strumenti sia alle forze di polizia sia ai politici e alle istituzioni per contenere quello che loro ritengono essere il dissenso e il disordine o quello che chiamano disagio sociale o conflitto eccetera. Mi spiego: attraverso il Ddl Sicurezza possono letteralmente mettere sotto il tappeto tutta una serie di polveri che altrimenti sarebbero molto respirabili, per esempio le proteste ambientali, i blocchi stradali oppure le rivolte nei cpr, nelle carceri, perché poi per il ddl ex 1660 anche una protesta pacifica nelle carceri viene considerata rivolta, quindi non è più possibile esprimere una qualsiasi forma di opinione all’interno delle strutture penitenziarie. Tutto questo non c’entra niente con la sinistra, che è da sempre anticarceraria, cioè abolizionista, e per i diritti di chiunque, in qualsiasi condizione. Colpiranno anche i diritti all’abitare, le lotte sindacali, persino la produzione di cannabis, forniranno alle forze di polizia strumenti enormi, come un’arma fuori servizio o un fondo per le spese legali…
Anche adesso hai chiarito come il governo si sia concentrato su tutta una serie di casi specifici che tuttavia non toccano neanche lontanamente i feudi della macrocriminalità di cui parlavi prima. Che senso ha chiamare “Ddl Sicurezza” un disegno di legge che evita di affrontare i problemi strutturali della sicurezza in Italia?
È un ddl che insiste sull’equivalenza tra il concetto di “sicurezza” e il concetto di “paura”. In altre parole, è un ddl che, dopo decenni di educazione alla paura, individua dei “nemici” precisi (attivisti, persone marginalizzate), che con l’esercizio del conflitto o con la loro sola esistenza rendono visibile le contraddizioni profonde del neoliberismo. Non è un ddl che mira a cambiare il senso di insicurezza che tutti proviamo, non potrebbe farlo, perché servirebbe intervenire sulla casa, sul lavoro, sul welfare. Il punto fondamentale di ciò che ho chiamato prima macrocriminalità è questo: dovremmo definirlo semplicemente capitalismo. Cioè è chiaro dall’andamento della politica e dell’economia recente che al capitalismo non serva nessuno degli aspetti che riconduciamo ai sistemi democratici. La mafia, la ‘ndrangheta o la criminalità organizzata, come la vogliamo chiamare, la macrocriminalità, non è altro che il portare all’estremo e senza particolare pudore proprio le logiche del capitalismo. La ‘ndrangheta ha anticipato di decenni le tendenze della macroeconomia e della finanza. La ‘ndrangheta ha venduto le armi chimiche ad Assad. Se cerchi su Google digitando “Porto di Gioia Tauro, armi chimiche”, vedrai che le armi chimiche che Assad ha utilizzato contro la popolazione siriana, sono passate dal porto di Gioia Tauro. La ‘ndrangheta utilizza da tempo la prostituzione e il narcotraffico per ottenere il massimo dei propri profitti, ma come fa la ‘ndrangheta a riciclare? Attraverso le criptovalute, il settore immobiliare, la speculazione edilizia, la finanza e c’è persino lo sfruttamento del capitale simbolico dell’arte per accrescere le possibilità di aumentare il proprio capitale reale. Cioè, si tratta realmente di anticipazione del capitalismo.
E Milano è inghiottita da questo sistema?
C’è un problema di estetica e di politica. Milano ha completamente rinunciato a una narrazione che non sia capitalista. Per cui tutto ciò che passa a Milano rientra perfettamente nelle logiche più spinte, più violente del capitalismo. Tutte le art week, le design week, le minchiate week… tutto. La design week a Milano è fatta sotto i tunnel della Stazione centrale. Una settimana prima passa l’AMSA e passa la polizia stradale a rimuovere con idranti e manganelli le persone senza fissa dimora sotto i tunnel e poi sotto quei tunnel fanno gli eventi con magari un’installazione su come sarà la città inclusiva del futuro. Milano è un laboratorio a cielo aperto del capitalismo del prossimo futuro, è la città dello sfruttamento lavorativo, cognitivo e dell’oppressione. Nonché della rimozione. Non a caso Milano penso sia la città con più problemi dal punto di vista della salute mentale.
E quindi per te c’è connivenza tra politica istituzionale e il sistema economico, per questo nessuno fa davvero nulla.
Il capitalismo mondiale è un sistema che fagocita tutto. È sempre colonialismo sotto diverse spoglie. Non a caso una delle espressioni più drammatiche del capitalismo è anche la guerra genocida di Israele a Gaza. Uno dice che cosa c’entra? C’entra perché Israele è campione del capitalismo. Israele è all’avanguardia in tutte le tecnologie, Israele è produttore di alimenti vegani, Israele ha fatto accordi commerciali con Eni per trivellare nel mare di fronte a Gaza, ha fatto accordi commerciali con Carrefour, ha fatto accordi commerciali con McDonald’s, ha fatto accordi commerciali con aziende per costruire palazzine e ville vista mare dove ora c’è devastazione. Il capitalismo, come vedi, si fonda su questo, si fonda sul colonialismo, che dopo i processi decoloniali ha solo cambiato volto.
E la soluzione qual è?
Intanto bisogna rendersi conto che all’interno del capitalismo non è possibile cambiare le cose (forse dopo, come diceva Mark Fisher), per esempio fare ambientalismo dentro il capitalismo, perché è greenwashing così come il femminismo dentro il capitalismo è pinkwashing, visto che il capitalismo ha sempre utilizzato il patriarcato come strumento di oppressione e sfruttamento del lavoro. Non esiste lotta ecologica nel capitalismo perché il capitalismo non potrà mai ammettere una transizione piena se questa non porta a un profitto. Anche la lotta decoloniale non può essere che anticapitalista. Ma la consapevolezza non ci salva da un cazzo, bisogna agire e l’azione politica è uno spettro di possibilità. Va dalla “decostruzione” individuale delle strutture culturali ereditate, passa per le attività di mutualismo o attraverso il lavoro, fino alle proteste di piazza, ai cortei, e all’uso degli strumenti storici della lotta. Per questo, durante l’azione di Mutuo Soccorso Milano, Lambretta e le altre realtà abbiamo rilanciato il corteo del 7 dicembre a Milano contro ogni stato di guerra, interno ed esterno (che è l’emergenza perenne), e contro il nuovo Ddl Sicurezza, nonché contro tutti quei provvedimenti che il governo Meloni sta mettendo in fila per trasformare questo Paese in uno stato autocratico: Ddl Condotta, Ddl Zacchin, il nuovo Codice della Strada, la manovra finanziaria che taglia su Scuola e Sanità per aumentare le spese militari... il corteo partirà da Porta Venezia per finire in Largo Cairoli, passerà a qualche centinaio di metri dalla Scala, dove – durante Sant’Ambrogio – ci sarà la Prima, e quindi la passerella di tutta una serie di politici e personaggi di rilievo che ignorano i problemi della città. E poi la mobilitazione nazionale del 14 dicembre, chiamata dalla rete “A pieno regime – No DDL Sicurezza Paura”, riunitasi per la prima volta in presenza il 16 novembre scorso a Roma. Ognuno è libero di agire (o non agire) come meglio crede, rimanere nello spettro di possibilità o meno, ma nessuno può negare che la politica ha sempre usato la piazza per esprimersi, non sarà sicuramente attraverso i social, al bar, o con questa intervista che cambieremo le cose. È un’allucinazione pensarla diversamente.