No Meloni Day a Bologna, partenza da piazza Verdi, la piazza universitaria. Teatro comunale, qualche spacciatore, due bar aperti. Studenti dei licei e dell’università, media di età più bassa di quella delle forze dell’ordine, che non sono più i figli dei proletari di cui parlava Pasolini, ma padri, mariti e qualcuno, quelli senza casco, in borghese, la Digos, forse pure nonni. Spoiler: è andato tutto bene. Nessuna carica, nessuno scontro, una istituzionalissima processione per le strade del centro bolognese, nonostante anche in questo caso si sia gridato alla risposta liberticida del governo, che avrebbe dispiegato “decine di unità” (in realtà sono molto meno), il cui compito pare essere stato, stavolta, solo quello di gestire il traffico (sabato si lamentava il fatto che non avessero gestito i fascisti). Tre capisaldi in punta di megafono: scuole che cadono a pezzi, genocidio palestinese e diritti delle donne.
Si alternano ragazzi e ragazze, meglio le ragazze dei ragazzi a parlare, meglio i ragazzi delle ragazze ad accendere i fumogeni e ad agitarli in alto; anche questi son ruoli di genere? Intervistiamo alcuni degli organizzatori del corteo, ci dicono che sono lì contro un governo di fascisti, reazionario, guerrafondaio. Guerrafondaia è anche questa Europa, quella di Ursula Von Der Leyen – “altra donna che non fa gli interessi delle donne”. Si rifiuta anche la finta solidarietà da campagna elettorale di Pd e sindaco, Matteo Lepore, che sventola la bandiera palestinese e quella antifascista solo in campagna elettorale. Si deve essere duri con i nemici, la destra, ma ancora più dura con i possibili alleati. Per questo anche Elly Schlein viene definita “complice del genocidio” e bugiarda: “Non le crediamo più, il Pd non è mai stato dalla nostra parte”.
“Trent’anni di governi che hanno distrutto la scuola pubblica”, ci dicono, “mentre i soldi vengono usati per fabbricare armi e fare la guerra”. Quale sia la guerra a cui si riferiscono è chiaro: “Il genocidio palestinese operato da Israele; fascismo e sionismo nella differenza”. Quando chiediamo perché si parli solo di Medio Oriente e non di Ucraina chiariscono che anche quello è un conflitto da condannare, ma “la colpa è in gran parte nostra, dell’Occidente, l’Italia anche, che vende e dà armi all’Ucraina; a cosa serve questo sostegno incondizionato? A prolungare una guerra”. Della Russia, negli interventi, non c’è traccia. Un ragazzo vende dei giornali del Partito comunista rivoluzionario, “Rivoluzione”, ma dopo la prima domanda cede e scusandosi si allontana. Un gruppo di ragazze si mette alla testa del corteo, si tolgono le magliette e iniziano a gridare: “Ma quale stato, ma quale dio. Sul mio corpo decido io”. Qualche fumogeno e poco altro. I ragazzi si guardano intorno, sono felici di essere lì, felici e incazzati come dovrebbero essere i ragazzi. Lo sciopero è nazionale, forse è andata peggio altrove. Qui qualche signore si avvicina alla protesta, alcuni dicono che è sempre la stessa cosa, altri che a Bologna se ne vedono una ogni due giorni. Altri stanno con i ragazzi: hanno ragione, dicono, ma poteva andare meglio. Cosa vuol dire? “Che la rivoluzione, ancora una volta, può attendere”.