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Spoiler sul “No Meloni Day”: siamo stati all’assemblea tra America coloniale, genocidio palestinese e malumori per i test d’ingresso all’Università…

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

13 novembre 2024

Spoiler sul “No Meloni Day”: siamo stati all’assemblea tra America coloniale, genocidio palestinese e malumori per i test d’ingresso all’Università…
Siamo stati ad ascoltare Cambiare rotta, uno dei collettivi comunisti coinvolti nello sciopero No Meloni Day che si terrà venerdì 15 novembre. Il problema? Di Giorgia Meloni non si è parlato. Invece si è parlato dell’America colonizzatrice, dell’inglese della finanza e del genocidio palestinese. I giovani comunisti somigliano al vecchio compagno Folagra di “Fantozzi”. E, almeno per ora, la rivoluzione può attendere

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Siamo stati a una delle assemblee in preparazione dello sciopero nazionale di venerdì 15 novembre, il No Meloni Day. Siamo andati per prepararci alla rivoluzione e invece niente, un convegno di due ore, con mezz’ora di ritardo (due quarti d’ora accademici), in una delle aule della facoltà di matematica dell’Università di Bologna. Il titolo era: Quale modello di formazione per l’Emilia-Romagna? Una domanda concrete e cogente, soprattutto in vista delle elezioni. Solo che di Emilia-Romagna si è parlato poco niente. La panoramica era nazionale, le analisi transnazionali e forse leggermente da aggiornare. Sì, perché la giovanile comunista che ha organizzato l’evento, il collettivo Cambiare Rotta, insieme agli ospiti, un rappresentante dell’Usb (Unione sindacale di base), un paio di candidati di Potere al popolo, un docente di economia che ce l’aveva con gli americani, ha sciorinato in modo retorico e meno altisonante che in passato (dove sono finiti la teatralità, i pugni chiusi, l’eloquio) la solita sceneggiatura fintamente operaia, decisamente nazionalpopolare, un bel po’ rossobruna e scarsamente coinvolgente, cioè pallosa. All’intervento introduttivo, lunghissimo e pressoché inutile, seguono due analisi che ci perdoneranno i nostri Malthus e Mead, non ci metteremo a riassumere qui. Anche perché il punto è più o meno lo stesso per tutti: basta con le collaborazioni ignobili con la guerrafondaia Leonardo Spa e con l’ecocida Eni, basta con il modello università-azienda, dateci più borse di studio, più alloggi a basso costo, pagate i libri di testo (troppo costosi), finitela con il sostegno a Israele, stop al genocidio, pace nel mondo, basta con la povertà in Africa, che roba contessa, ridateci il futuro.

L'immagine postata dal collettivo Cambiare rotta dell'assemblea
L'immagine postata dal collettivo Cambiare rotta dell'assemblea
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L’intervento emblematico è quello della giovane studentessa e candidata di Pap, che spiega in che modo l’università sarebbe escludente in entrata, durante e in uscita. A partire dalla discriminazione politica ancora prima che economica. Fa l’esempio degli studenti russi a cui non sarebbero sette date le borse di studio e dice: perché agli ucraini sì e a loro no? Deve aver scordato il sostegno al boicottaggio delle università israeliane, con le loro ricerche, i loro laboratori, i loro studenti che invece è giusto discriminare. Un altro esempio interessante riguarda i test d’ingresso e lo sbarramento. Battaglia che, in effetti, condivide con Matteo Salvini. Ma è di sinistra spalancare le porte il primo anno per creare futuri precari poi? Giustamente, non facendo medicina e non avendo ancora finito gli studi, la ragazza non ha dimestichezza con il concetto di “imbuto formativo” (meno borse di specializzazione che laureati in medicina; se aumenta il numero degli studenti, visto che si vuole togliere il test d’ingresso, aumenterà l’intasamento, cioè giovani medici senza specializzazione). Unica nota di merito le due compagne genovesi ammanettate, a Genova, per chiedere all’università un Cav, un centro antiviolenza. Una battaglia concreta e necessaria, immersa in programmi sbrodoloni e macchiettistici.

L'intervento del professore Raimondello Orsini
L'intervento del professore Raimondello Orsini

L’intervento migliore è quello del docente Unibo, Raimondello Orsini, ironico ma neanche tanto: sostanzialmente antiamericano convinto (e in particolare anti-thatcheriano), parla di sfruttamento e della perdita di tempo libero. Spiega anche come l’università non sia più un luogo per pensare. La colpa non è solo dei programmi scolastici ma anche dell’inglese, lingua del colonizzatore che ci impedisce di dissentire con la stessa forza che potremmo esercitare se solo parlassimo nella nostra lingua madre. Una lingua di slogan e piatta, non l’inglese di Shakespeare ma della finanza, per ricordare un’espressione televisiva di qualche anno fa, pronunciata dal filosofo Diego Fusaro (a proposito: si sarebbe trovato benissimo in quest’aula). Quindi gli americani e gli inglesi son cattivi, il capitalismo sfrutta e l’università è diventata un’azienda che sostiene il genocidio. Non è neanche chiaro quale sia questo modello di formazione per l’Emilia-Romagna, ma a questo punto anche per l’universo mondo, che viene proposto. Non è chiaro come, tagliando i sostegni finanziari di Eni e Leonardo Spa, per esempio, si possano aumentare le borse di specializzazione, risolvere il problema del caroaffitti per gli studenti, pagare i libri di testo accademici; tutto questo per sempre più studenti, dal momento che si vogliono togliere i test d’ingresso e il numero chiuso. Come? Giorgia Meloni? No, di lei non si è praticamente parlato. L’inizio della crisi della scuola è retrodatato di trent’anni e coinvolge governi di destra e di sinistra. Ma non è un’assemblea “verso lo sciopero nazionale No Meloni Day”? Sì, ma di Meloni non c’è traccia. Si è parlato alto, sbagliando quasi tutto, ma facendo i colti in accezione operaista. Nessun palazzo d’inverno da assaltare, nessuno zar. Nessun obiettivo specifico (allora meglio Raimo contro Valditara). La critica in sé, generale, internazionale, intersezionale e, a tratti, intestinale. Mancava solo il compagno Folagra di fantozziana memoria: “Non so se mi spiego porco Giuda. Noi dobbiamo pensare a una cogestione che sia proliferante in senso sobrio. Oh! È a monte che dobbiamo distruggere!”

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