Sembra un cold case, ma ribolle ancora: il mistero della morte di Liliana Resinovich, la donna triestina sparita nel dicembre 2021 e ritrovata cadavere tre settimane dopo, è tornato al centro del dibattito. E a rimescolare le carte non sono chiacchiere da talk, ma dati. Quelli portati a Quarto Grado da Fabiola Giusti, biologa ed entomologa, consulente della famiglia Resinovich. Secondo Giusti, qualcosa non torna: il corpo di Liliana, ritrovato nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, potrebbe non essere rimasto lì tutto quel tempo. E a dirlo – o meglio, a sussurrarlo con forza – sono gli insetti. Nessun morso, nessuna lesione compatibile con una lunga esposizione all’aperto. I sacchi neri in cui era avvolta erano integri. Eppure, quella zona pullula di topi, cinghiali, gatti.


Non solo. Le formiche ritrovate sulla mano della donna appartengono a una specie attiva anche d’inverno, ma non hanno lasciato tracce evidenti di attività sul corpo. Dopo 21 giorni, ci si aspetterebbe ben altro: scavenging, danneggiamenti, un formicaio persino. Invece, nulla. Né sui sacchi, né sui vestiti, che risultavano puliti e asciutti, come appena appoggiati lì. Quello che emerge è un’ipotesi che ribalta tutto: Liliana potrebbe essere stata uccisa altrove e il suo corpo spostato solo successivamente nel bosco. Un posizionamento, forse, studiato. Non un nascondiglio improvvisato, ma una messa in scena. Un messaggio, addirittura. La famiglia ci crede da tempo. Ora, con la scienza a supporto, la domanda non è più solo “chi ha ucciso Liliana?”, ma anche “perché ha scelto proprio quel luogo e quel momento per mostrarla al mondo?”. L’ombra lunga della regia post mortem si fa sempre più nitida. E il caso Resinovich torna ad essere tutto fuorché chiuso.

