Fino a ieri era il vedovo triste, oggi è l’unico indagato. Sebastiano Visintin, 73 anni, è sotto inchiesta per l’omicidio volontario della moglie Liliana Resinovich, trovata morta a Trieste il 5 gennaio 2022, avvolta in sacchi della spazzatura nel bosco dell’ex ospedale psichiatrico. Lui, per difendersi, aveva consegnato un video girato con la GoPro mentre pedalava nel Carso il giorno della scomparsa, 14 dicembre 2021. Ma proprio quelle immagini rischiano ora di inchiodarlo: i vestiti e i guanti indossati in quel filmato sono stati sequestrati dagli inquirenti, perché compatibili con le tracce rinvenute sul corpo di Lilly. E mentre il clamore mediatico esplode di nuovo, Sebastiano fa perdere le sue tracce: non è più tornato a casa, è stato rintracciato solo telefonicamente a Villacco, in Austria, e poi in bici a Tarvisio. Dice di essere tranquillo, ma non chiarisce quando tornerà a Trieste. Nessun obbligo, spiegano i legali. Ma se la nuova pm Ilaria Iozzi decidesse di interrogarlo, dovrà farsi vedere.


Nel frattempo, gli investigatori continuano a spulciare tra gli oltre 700 oggetti sequestrati nella sua casa durante una perquisizione durata più di otto ore. Tra questi, coltelli, forbici, un maglione e soprattutto i famigerati guanti. La perizia del RIS ha trovato l’impronta di un guanto sul sacco che avvolgeva la parte inferiore del corpo di Lilly. Una coincidenza? Forse. Oppure no. La procura inizialmente aveva quasi chiuso il caso come suicidio, ma a cambiare le carte in tavola è stata la perizia dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo: "Non si è tolta la vita, è stata uccisa", ha sentenziato. Così il Gip ha respinto l’archiviazione e l’inchiesta ha preso una nuova direzione. Una direzione che porta dritta a casa Visintin. O almeno, a quella che era la sua casa prima che decidesse di attraversare il confine.

