Due pesi, due misure. Da una parte il caso del delitto di Garlasco, dove nuove piste e nuove indagini sono ancora sul tavolo, nonostante una condanna definitiva bei confronti di Alberto Stasi. Dall’altra il caso di Massimo Bossetti, dove ogni spiraglio sarebbe stato sistematicamente chiuso. A sostenerlo, senza esitazioni, è Claudio Salvagni, avvocato del muratore di Mapello, in una lunga intervista esclusiva concessa al settimanale Giallo, diretto da Albina Perri. “Per Garlasco sono state fatte perizie e controperizie. Per Bossetti no. Perché? È un imputato di serie Z?”. La domanda arriva secca, mentre Salvagni mette a confronto due casi diversi ma paralleli: quello di Alberto Stasi, condannato per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, e quello del suo assistito, Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per la morte della tredicenne Yara Gambirasio. In entrambi i casi, il dna è stato la chiave. Ma, secondo il legale, solo uno dei due ha avuto la possibilità reale di metterlo in discussione. Nel caso del delitto di Garlasco, spiega Salvagni, Stasi fu assolto in due gradi prima della condanna definitiva, e oggi la Procura non ha esitato ad aprire una nuova inchiesta per indagare su eventuali complici o un altro assassino.

“A Bossetti, invece, hanno distrutto i campioni di dna che potevano essere decisivi per capire se ci fosse stato un errore”. E aggiunge: “Yara e Bossetti non si conoscevano, non ci sono prove di un contatto, manca completamente la dinamica. Il dna è l’unica cosa su cui si è basato tutto, ma è un dna pieno di ombre”. Ombre che la difesa sta cercando di illuminare, anche grazie a un’ultima autorizzazione che ha aperto tre piste. L’accesso alle foto ad alta risoluzione dei reperti, fondamentale per verificare eventuali tracce visibili solo in immagine, come la celebre “impronta 33” nella villetta di Garlasco. Il profilo completo del dna di Yara, che fino a poco tempo fa mancava negli atti, nonostante la traccia mista con quella di Ignoto 1. I risultati delle indagini genetiche condotte nella Bergamasca, anche in forma anonima, utili per eventuali nuovi incroci. E ci sarebbe di più: tra i margini ungueali di Yara, la difesa ha rilevato un pelo mai analizzato. Un dettaglio rimasto lì, muto, per anni. E che ora potrebbe dire qualcosa. Salvagni non si sbilancia: “A quali risultati arriveremo, non lo sappiamo. Ma continueremo a indagare”. E nel frattempo resta aperta una domanda più grande: perché in un caso si scava e nell’altro no?

