Diciotto anni dopo il delitto di Garlasco, l’attenzione resta viva anche sul fronte informatico. Computer, telefoni, immagini e file che avrebbero potuto raccontare molto su ciò che è accaduto a Chiara Poggi, al tempo non sono stati analizzati con la tecnologia e la cura di oggi. Per capire meglio questi aspetti abbiamo raccolto la testimonianza di Michele Vitiello, informatico forense, consulente in diversi casi di cronaca nera e uno dei nuovi consulenti della difesa nominati da Sebastiano Visintin, marito di Liliana Resinovich. Parlando delle immagini, Vitiello distingue subito tra analogico e digitale: “Se parliamo di fotografie di tipo analogico, il modo per poter verificare se queste sono originali e autentiche di base è la pellicola. L’elemento principale è quello di disporre dei negativi e vedere se la fotografia stampata corrisponde a quella generata dalla pellicola. Manipolare i negativi è molto complesso”. Quando i negativi non ci sono, l’analisi si sposta sulla foto stessa: “Si scansiona con uno scanner ad alta risoluzione, la si digitalizza e si vanno a verificare incongruenze nelle proporzioni, nelle ombre, nella nitidezza. In alcuni casi si può rilevare che non è tanto la foto ad essere stata ritoccata, ma che ci sia stata una messa in scena”. Con le immagini digitali, invece, le possibilità si moltiplicano: “Si analizza il contenitore, quindi il file: può essere jpeg, bitmap, raw. Nei metadati troviamo data, ora, obiettivo, dispositivo usato. Oggi si riesce a capire perfino qual è stato il modello esatto che ha generato quella fotografia, anche a parità di modelli. Ci possono essere coordinate gps, oppure tracce di programmi di fotoritocco come Photoshop o software di intelligenza artificiale. Anche una ricompressione lascia segni. Poi si passa al contenuto, cercando sbavature o incoerenze. Per capire se una foto è stata modificata si può impiegare cinque minuti come una giornata intera”.

Un tema cruciale riguarda il computer di Chiara Poggi e i presunti video a sfondo sessuale. Vitiello spiega come funziona l’analisi forense di un dispositivo: “La prima cosa da fare è la cosiddetta copia forense. Poi si indicizzano i dati, si recuperano i file cancellati e si ricostruisce la loro storia: quando sono stati memorizzati, da dove provengono, se sono stati scaricati dal web o condivisi con altri soggetti”. Negli anni Duemila, ricorda, il contesto era diverso: “Si usavano i sistemi peer-to-peer. Io scarico e contemporaneamente condivido quello che sto scaricando. Così si formavano le reti di condivisione. Oggi è tutto più semplice: vado su web, Telegram, app di messaggistica. Posso trovare materiale pornografico lecito, che si può detenere e condividere, oppure illecito. La legge punisce severamente il possesso e la condivisione di materiale pedopornografico. Conta molto il dolo: essere coscienti di detenere quel materiale. Chi lo cerca in maniera mirata lascia tracce profonde, non è una ricerca casuale”. L’esperto fa un esempio concreto: “Se io cerco Biancaneve e i sette nani e mi compare un filmato pornografico, chiaramente non l’ho cercato. Può capitare per casualità. Ma chi lo cerca davvero lascia ricerche precise, cartelle catalogate, magari per età delle vittime. Sono tutte avvisaglie. E se scarico per errore un file illecito, lo cancello subito. Non me lo tengo nel computer”. Vitiello chiarisce anche i limiti del suo ruolo: “Io non ho fatto nessuna attività tecnica sul delitto di Garlasco, non ho avuto ruoli di consulenza né di parte né della procura. Non ho potuto visionare il materiale, quindi non so se ci fosse davvero del pornografico su quel computer”. Ma sottolinea quanto un dettaglio del genere avrebbe potuto pesare: “Se ci fosse stato, avrebbe potuto turbare Chiara. Era una ragazza perbene, precisa, con grandi qualità. Ritrovarsi del materiale pornografico all’interno del computer l’avrebbe turbata, anche solo quello. Se fosse stato pedopornografico, addirittura, poteva diventare un movente: magari si accorge di quelle ricerche e chiede conto a qualcuno”. Anche la proporzione dei file può incidere: “Se un utente scarica migliaia di file pornografici e solo qualche file pedopornografico, questo può ridimensionare l’accusa. Si può pensare che nella ricerca di materiale pornografico sia capitato anche dell’illecito. Il materiale oggi viene catalogato anche per tipologia: fumetti, creazioni generate con intelligenza artificiale, eccetera”.

Altro punto rimasto oscuro: l’ipotesi di un secondo telefono mai trovato. “Tecnicamente si può ricostruire l’esistenza di un dispositivo mancante attraverso tabulati, backup, tracce residue. Ma servono indagini accurate, che all’epoca non sempre venivano fatte con la precisione di oggi”. E se oggi si rifacessero le indagini? Vitiello non ha dubbi: “La copia forense di un computer si faceva allora come si fa oggi, ma l’analisi dei dati oggi è molto più completa. I sistemi di estrazione dei cellulari sono più avanzati. Rifare quelle attività con le tecnologie attuali potrebbe portare a informazioni più precise e chiare. All’epoca ci furono leggerezze nella raccolta della prova informatica. Ripetere le indagini tecnico-scientifiche oggi non sarebbe male. Anche dai cellulari dell’epoca, pur rudimentali, si potrebbero ricavare elementi che allora non vennero trovati”. A distanza di quasi vent’anni, conclude: “Meglio non lasciare niente al caso. Ogni file, ogni immagine, ogni traccia digitale può raccontare molto più di quanto sembri”.
