Tutto si sta trasformando quando ormai si pensava che quel tutto sarebbe rimasto immutato. È il caso del delitto di Garlasco, agosto 2007, che sembrava definitivamente chiuso: Alberto Stasi condannato in via definitiva nel 2015 a sedici anni di reclusione. Ma poi nel 2025 riappare Andrea Sempio, già prosciolto dalle accuse m anni fa, oggi indagato per concorso in omicidio. Non c’è una nuova scena del crimine. Ci sono solo vecchi reperti riletti con strumenti nuovi. Eppure, tanto basta a parlare di “svolta” e di “revisione del processo”. Ma cos’è davvero successo? Facciamo un passo indietro. Un dna sotto le unghie della vittima che, dice la procura, corrisponde a quello di Sempio. Solo che quella stessa traccia era già stata analizzata nel 2016: i periti dissero che era contaminata e inutilizzabile. Ora invece, con nuove tecnologie, è stata “riqualificata”. Tradotto: quel che prima era scarto, oggi diventa prova. Ma siamo sicuri che può reggere? Altro punto: l’impronta palmare n. 33, rilevata sulle scale accanto al corpo. Non venne identificata allora, nonostante fosse nitida. Oggi la si sovrappone alla mano di Sempio. È possibile che un dettaglio così cruciale sia stato ignorato per diciott’anni? Sì. Ed è questo il nodo: non è la prova a essere nuova, è l’errore iniziale a essere tornato, ad essere messo nel piatto. La nuova inchiesta non si regge su elementi ignoti, ma su indizi noti che erano stati archiviati, male o con troppa fretta. E perché? E poi ci sono le chiamate: tre telefonate al fisso dei Poggi da parte di Sempio, fatte pochi giorni prima dell’omicidio. Una coincidenza? Sì, secondo i giudici del 2017. No, secondo i magistrati di oggi. Lui si è sempre giustificato: “Cercavo Marco, non sapevo fosse in vacanza”. La procura però lo accusa di voler sapere se Chiara fosse sola in casa. Ma anche qui: niente di nuovo. È tutto già visto. La verità è che questa nuova inchiesta si regge su basi fragili.

Sembra una farsa non perché il delitto non sia serio, lo è eccome, ma perché gli errori commessi allora impediscono oggi qualsiasi certezza. Una scena del crimine contaminata, impronte ignorate, reperti lasciati marcire nei faldoni e dna che hanno solo il sapore di un’ulteriore contaminazione. Altro che “ignoto tre”. E poi la corsa continua per una “verità alternativa” per scagionare Stasi, costruendo nuovi colpevoli con le stesse prove di ieri. Oppure Stasi è davvero innocente? E Sempio è coinvolto nel delitto oppure no? Al momento è solo indagato per concorso in omicidio. Nulla prova che fosse in casa Poggi quel giorno, né che abbia avuto movente. Solo un dna su cui oggi si discute e un’impronta che, a detta dei suoi avvocati, potrebbe essere finita lì in una delle tante visite precedenti. Perché Sempio quella casa la frequentava davvero. Stasi invece, dicono i giudici, ha mentito. Ha insabbiato. E ha avuto tempo, mezzi e motivazione. Ma quale tempo, davvero può aver fatto tutto in ventitré minuti? Allora è lecito chiedersi: ma abbiamo condannato la persona giusta? Oppure stiamo solo inciampando per la terza volta nella stessa verità scomoda, cercando un colpevole alternativo che non c’è? Una revisione del processo per Stasi al momento non c’è. Ma il dubbio, oggi come allora, resta. E nel dubbio, la giustizia si fa piccola. Piccolissima. E forse una revisione non è poi così lontana…

