Il suo nome circola da settimane, incastonato in una vicenda che intreccia gossip, minacce e inchieste giudiziarie. Federico Monzino, giovane imprenditore milanese appartenente a una nota famiglia dell’alta borghesia lombarda, è finito al centro del caso che vede coinvolti l’attore Raoul Bova e la modella ventitreenne Martina Ceretti. Dopo aver ammesso pubblicamente di aver fatto da tramite tra Ceretti e Fabrizio Corona, ora cambia versione e annuncia una mossa legale contro l’ex re dei paparazzi: “Aveva una telecamera nascosta nella visiera del cappellino, con cui si è impossessato delle chat senza il mio consenso”. Per ricostruire la vicenda bisogna tornare all’11 luglio, quando un “anonimo” contatta Bova utilizzando un’utenza telefonica spagnola ritenuta intestata a un prestanome. Il messaggio, minaccioso, è diretto: “Non è il caso che venga fuori uno scandalo sui giornali. Per il tuo matrimonio, per la tua immagine, per il tuo presente e futuro lavoro. Ho dei contenuti fra te e Martina Cerretti che ti farebbero molto male”. Ma l’attore non cede. In quei giorni, Monzino scrive a Corona per segnalargli “uno scoop della Madonna” riguardante la sua amica Marti “qualcosina in più che amici”, aveva raccontato al Corriere, e il celebre attore. Pochi giorni dopo, il 21 luglio, Corona rende pubblici sui social gli audio privati tra Bova e Ceretti.

La Procura di Roma apre un’indagine, affidata alla polizia postale e coordinata dal pm Eliana Dolce. Monzino, inizialmente, aveva ammesso di aver fatto da tramite nella trasmissione del materiale a Corona, sostenendo di essere stato autorizzato da Ceretti: “Gli audio e le chat non sono state trafugate, ma condivise volontariamente: Martina era a casa mia, consapevole di quanto facevamo. Il suo consenso è stato esplicito”. Ora, però, con una serie di stories su Instagram, introduce un nuovo elemento: “L’obiettivo era aiutare Martina. In un momento di confusione iniziale, quel dettaglio relativo al modo in cui Corona aveva acquisito alcune chat, non mi sembrava così rilevante da sottolineare. Ora posso dirlo: non tutto il materiale è stato consegnato volontariamente da me, una parte è stata acquisita senza il mio permesso”. Ammette di non aver raccontato neppure ai propri legali questo particolare: “A volte, in situazioni di pressione, non è semplice avere subito tutte le informazioni o la lucidità per raccontare l’intera vicenda con precisione. Adesso voglio mettere tutto sul tavolo, anche quelle cose che prima non avevo raccontato a nessuno. Spero che Corona possa comprendere la mia posizione e il disagio che ho provato nel vedere la mia privacy violata senza consenso. Non è una questione di rancore personale, bensì di rispetto e correttezza”. Sul suo coinvolgimento diretto, Monzino ribadisce: “Ho fatto da tramite per aiutare Martina. È stata lei a fornirmi il numero di Corona e, pochi secondi dopo, sempre insieme a lei, abbiamo scritto il messaggio. Anche se è partito dal mio telefono, abbiamo agito in modo condiviso. Abbiamo parlato di un possibile scoop, senza mai fare allusioni o riferimenti espliciti alla condivisione di materiale. Quindi il mio ruolo è stato quello di un facilitatore, un ponte tra Martina e Corona, ma senza mai prendere decisioni autonome riguardo al materiale o alla sua diffusione”.

Il rapporto con Ceretti, oggi, sembra interrotto: “Ho provato, ma non sono riuscito a risentirla. Non ho nessun suo contatto e neanche le persone vicine a lei sanno dove si trova. Sono sicuro che non l’abbia fatto per sua scelta consapevole, ma probabilmente per pressioni esterne. Il mio affetto per Martina non è venuto meno. Quando parlo del ruolo che lei ha avuto nel prendere certe decisioni, non sto cercando di scaricare responsabilità o puntare il dito contro di lei. Il mio obiettivo è sempre stato quello di proteggerla e di aiutarla nel modo migliore possibile, anche quando le cose si sono complicate. In una situazione così complessa, le responsabilità siano condivise”. Il nodo centrale, però, resta quello della presunta acquisizione abusiva del materiale. Monzino ricostruisce: “Corona è venuto una prima volta a casa mia per analizzare chat e audio, per controllare se andassero bene per la puntata di Falsissimo. In quell’occasione io non ho inviato nulla. Quello che non sapevo è che indossava un cappellino con una telecamera dissimulata nella visiera e che stava riprendendo tutto, senza una mia esplicita autorizzazione. Cosa di cui mi ha messo al corrente lui stesso con dei messaggi su WhatsApp. Solo dopo, in una chiamata, mi ha detto che per completare lo scoop e renderlo più scottante mancava l’audio, ‘per fare diventare Martina famosa’, quello che lei inizialmente voleva. Io ho accettato e, la seconda volta che è venuto a casa mia, gli ho inviato in primis l’audio, ma anche le chat in formato registrazione schermo, non come quelle sottratte senza il mio consenso, dicendo che gli servivano per dare maggior credibilità allo scoop”. E aggiunge che “le chat che ho con lui lo confermano, ma sono contenute nel telefono che ora mi è stato sequestrato. Appena lo riavrò, potrò dimostrarlo”. E conclude: “Ci stiamo preparando a sporgere denuncia contro Fabrizio Corona. L’ho comunicato ai miei legali, che non erano al corrente del fatto”.