Nel nuovo filone d’indagine sul delitto di Garlasco, il dna ritrovato sulla cannuccia di un brick del tè ha riaperto una questione mai chiusa del tutto. Il reperto era stato inserito tra i rifiuti della casa di Chiara Poggi. Il profilo genetico è di Chiara e del fidanzato Alberto Stasi, condannato nel 2015 a sedici anni di reclusione. A confermarlo la criminologa Anna Vagli, che a noi di MOW ha commentato gli esiti dell’incidente probatorio: “Il dna trovato sulla spazzatura, venduto come quello dell’assassino che avrebbe fatto colazione con Chiara, è risultato, in sede di incidente probatorio, invece appartenente a Chiara e Stasi. E l’analisi della spazzatura era stata richiesta proprio dai legali del condannato”. Il reperto in questione, la cannuccia del brick, è stato riesaminato di recente. Per la procura avrebbe potuto contenere tracce dell’assassino, ma i test hanno restituito un risultato diverso: nessun terzo profilo, nessuna novità. Solo i due protagonisti di una vicenda che, a distanza di anni, resta un enigma giudiziario. Secondo la Vagli, il dato va inserito in un contesto più ampio: “Locard non sbaglia: chi uccide lascia qualcosa sulla scena del crimine e porta via qualcosa da quella scena. E qui, ad oggi, l’unico dato scientifico è questo”.

La nuova fase dell’inchiesta, però, non si ferma al dna. Il prossimo passo sarà cercare impronte papillari latenti sulla stessa spazzatura: digitali, palmari o plantari. In teoria, solo le digitali possono essere compatibili con il tipo di superficie. “Le impronte digitali sono materiale biologico, ma il disegno lasciato dai polpastrelli in certi contesti resiste di più rispetto al dna, soprattutto su superfici lisce e se non vengono sfregate o lavate. Possono restare leggibili anche dopo mesi o anni, a seconda del supporto e delle condizioni ambientali”, ci ha spiegato la criminologa. L’ipotesi è che anche le impronte digitali confermeranno quanto già emerso con il dna. “Se già è stato trovato dna di Chiara e Stasi, ipotizzo che l’esito potrà essere lo stesso anche per le impronte digitali”. Niente colpi di scena, per ora. Solo un dato tecnico: sulla cannuccia c’è il dna di Chiara e di Alberto. Ed è stato proprio il suo collegio difensivo a volerlo cercare.

