La Corte di Cassazione ha stabilito che il caso dell’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne trovata morta nel giugno del 2001 nel bosco di Arce, in provincia di Frosinone, debba essere riesaminato. La decisione, che arriva a distanza di anni dall’assoluzione della famiglia Mottola in primo e secondo grado, ha spinto la procura generale della Corte d’Appello di Roma a chiedere un nuovo processo d’Appello bis. Una sentenza che ha cancellato quella che sembrava essere la parola “fine” su uno dei casi di cronaca nera più misteriosi d’Italia. Il nodo principale rimane sempre lo stesso: la caserma dei carabinieri di Arce, dove Franco Mottola, all’epoca comandante, potrebbe essere stato coinvolto nell’omicidio di Serena. Secondo la ricostruzione della procura, la ragazza sarebbe stata uccisa proprio all’interno della caserma, e il suo corpo poi trasportato nel bosco. Ma i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano stabilito che non ci fossero prove sufficienti per dimostrare che Serena fosse entrata nella caserma quel giorno. L’ipotesi accusatoria si scontra con la difesa, che sostiene l’innocenza della famiglia Mottola, rappresentata dai legali che continuano a sostenere la tesi dell’assenza di prove decisive contro i loro assistiti. Carmelo Lavorino, criminologo che assiste la famiglia Mottola, ha dichiarato che sono pronti ad affrontare il nuovo processo con serenità, pur esprimendo preoccupazione per il passare del tempo, che rende sempre più difficile individuare il vero assassino di Serena. Un altro elemento che ha segnato questa vicenda è la figura del brigadiere Santino Tuzi, che, pochi giorni prima della sua morte nel 2008, fatta passare per suicidio, aveva dichiarato di aver visto Serena entrare, senza mai uscire, nella caserma di Arce. Le sue dichiarazioni erano state determinanti per la procura, ma i giudici avevano ritenuto la sua testimonianza non affidabile, portando all’assoluzione della famiglia Mottola. Tuttavia, ora la Cassazione ha deciso che è necessario rivedere il caso, ritenendo insufficienti le motivazioni che avevano portato all’assoluzione in primo e secondo grado.


Il 1° giugno 2001, Serena Mollicone, quella mattina, si svegliò presto per andare a fare una radiografia. Dopo, aveva un appuntamento con il ragazzo che frequentava da poco. Ma nel corso della giornata, le sue tracce si perdono. Suo padre Guglielmo, preoccupato, lancia l’allarme. Qualche ora più tardi, una testimone afferma di aver visto Serena in compagnia di alcuni ragazzi, e un carrozziere, Carmine Belli, la descrive in mezzo a una discussione con un ragazzo biondo. Intanto, Franco Mottola, comandante della stazione dei carabinieri di Arce, si fa consegnare il diario di Serena, ma la cosa non verrà mai formalizzata in un verbale. Due giorni dopo, il corpo della ragazza viene ritrovato in un bosco, legato con filo di ferro e con la testa avvolta in un sacchetto. L’autopsia stabilisce che non ci sia stata violenza sessuale, ma che Serena sia stata colpita alla testa, provocandone la morte. Le indagini successive vengono caratterizzate da numerosi depistaggi: l’arresto del carrozziere Belli e, successivamente, il “suicidio” di Tuzi, che sarà definito erroneamente come un gesto legato a motivi sentimentali. L’ipotesi accusatoria, sostenuta da alcuni medici legali, è che Serena sia stata aggredita nell’alloggio di servizio di Franco Mottola, dove avrebbe subito un colpo che le ha fatto perdere conoscenza. Poi, sarebbe stata lasciata lì per diverse ore prima di essere uccisa con del nastro adesivo, che le ha impedito di respirare, provocandone il soffocamento. La nuova decisione della Cassazione riapre dunque il caso, che per oltre vent’anni ha tenuto in scacco la giustizia italiana, con un’intricata rete di sospetti, depistaggi e colpi di scena. Il destino della famiglia Mottola è ora nelle mani della Corte d’Appello, ma il punto cruciale rimane sempre lo stesso: chi ha ucciso Serena Mollicone e perché? E che ruolo ha avuto Marco Mottola, figlio dell’ex comandante?

