Supponente, prepotente, arrogante, offensivo: quattro aggettivi, in elenco numerato, su un foglietto intestato “Villa San Martino” tenuto in mano su uno dei banchi del Senato. La scrittura è ordinata e la grafia - abituati a vedere la sua firma, dal contratto autografato da Bruno Vespa al memorabile “Una storia italiana” - sarebbe riconoscibile anche senza l’indicazione della residenza di Arcore: Silvio Berlusconi li ha scritti di suo pugno i tratti da attribuire al comportamento di Giorgia Meloni. Ce n’è anche un quarto, barrato, in cui gli esegeti riconoscono il termine “ridicolo”; ma lì la correzione è arrivata proprio dalla probabile futura premier: «Mi pare che tra quegli appunti mancasse un punto, e cioè “non ricattabile”». Come inizio non c’è male, per l’ultima vita politica di Berlusconi, certo non solitaria ma piuttosto triste y final. Dopo avere annusato l’improbabile trasferimento nell’appartamento al Quirinale, quasi raggirato da chi glielo fece credere, dopo avere assistito all’addio di alcune sue creature (Carfagna e Gelmini) in direzione Renzi-Calenda, dopo essere stato eletto senatore nel collegio di Monza e avere evitato l’agonia di Forza Italia spostandone il momento dell’estinzione, nei giorni dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato ha dovuto ingoiare di tutto. Il no a un ministero per Licia Ronzulli, i veti sui suoi protetti, le telecamere a indugiare sul suo stizzito vaffa in un alterco con Ignazio La Russa, gli zoom dei fotografi a curiosare sul foglietto di cui sopra. Ma, soprattutto, l’inutilità della mossa con cui ha fatto mancare i voti di Forza Italia allo stesso La Russa, al cui soccorso sono giunti quelli di coloro che negano.
Eppure, con 45 seggi alla Camera e 18 in Senato, Forza Italia non è irrilevante per i numeri della maggioranza. Il modo in cui La Russa si è installato sulla poltrona di seconda carica dello Stato racconta che il centrodestra ha potenziali truppe di riserva a scrutinio segreto, e che siano state stanate da subito è merito della mossa di Forza Italia. Inutile, stavolta, al punto che qualcuno ha già parlato di umiliazione. Ma un governo non c’è ancora, nemmeno sono iniziate le consultazioni, Meloni (scripta manent: negli appunti non ha «nessuna disponibilità al cambiamento» ed è·«una con cui non si può andare d’accordo») non indietreggia di un millimetro e Berlusconi pare all’angolo, divorato dalle sue stesse creature.
Ma se c’è una cosa che la politica dovrebbe avere capito di Silvio Berlusconi, in una parabola quasi trentennale, sono le mille resurrezioni al cospetto di coloro che l’hanno troppo spesso dato per morto. E, provocazione per provocazione, oggi il demiurgo di Forza Italia potrebbe rivelarsi per la destra al governo ciò che Fausto Bertinotti fu per Prodi negli anni Novanta. Un oppositore in casa, quello che Corrado Guzzanti - era il Pippo Chennedy Show - imitava e irrideva per gli “scherzi”, i no, che propinava al governo di centrosinistra, scherzi necessari “perché quelli non vogliono più giocare con noi, giocano solo con l’Iraq”. Meloni gioca con la Lega che ha nomi spendibili per i ministeri, gioca con i tecnici, non gioca con Forza Italia. Sa, Berlusconi, che non è forte come un tempo, che un ritorno alle urne ucciderebbe il suo partito, ma sa anche che i suoi voti, quando conterà, serviranno, e in qualche modo questo - salvo tradimenti o soccorsi più o meno rossi - lo rimette in campo nell’ambito dell’azione di una maggioranza non granitica, in cui dire no è una strategia che potrebbe addirittura farlo rivalutare quale padre della patria - sì, è improponibile, ma avete notato in quanti nelle ztl del centrosinistra già lo considerano il meno peggio? - da chi l’ha sempre detestato e oggi l’ha sostituito, nell’odio, con Salvini e Meloni. Altrimenti, muoia Sansone e tutti i Filistei. In fondo, lui è Silvio Berlusconi, una delle personalità più ingombranti d’Italia negli ultimi cinquant’anni. E Silvio Berlusconi non può finire così, dimenticato su uno scranno-ospizio, senza un ultimo colpo da avanspettacolo.