Lo scopro leggendo un interessante articolo di Demetrio Marra su Milano in movimento che, almeno nella prima metà, dà qualche informazione pulita e molto chiara. YouTube ha premiato vari canali che hanno raggiunto e superato i 100 mila follower. Normalmente si può richiedere la targa a casa, ma in occasione di YouTube on Stage. Il Gala con la nuova creatività italiana, l’azienda media ha deciso di consegnare il Silver Play Button a Tommaso Longobardi, l’esperto che cura il canale di Giorgia Meloni. Il premio, va da sé, era a Giorgia Meloni. Longobardi ha spiegato la sua nuova strategia, diversa, ricorda Marra, da quella di Salvini, che puntava alla saturazione. Invece di riempire di contenuti barbarici i social, Giorgia Meloni ha scelto di costruire una nuova narrazione che potesse competere con quella, annosa e tutto sommato elaborata, degli oppositori. Una contronarrazione che potesse convogliare l’indignazione della gente in un progetto comune. Longobardi, formatosi alla scuola di Casaleggio, ha fatto uno step rispetto agli “antenati” grillini: ha deciso di fornire a Giorgia Meloni un modo di raccontare le cose equilibrato, che alterna messaggi estremi alle foto del villaggio natalizio di Atreju, che tiene insieme i proclami ad alta voce e le battute in romanesco, che miscela alto e basso e, infine, cancella ogni distinzione tra uso pubblico e privato della ragione.
Insomma: Giorgia Meloni una di noi, ma, all’occorrenza, anche presidente del Consiglio. Tutto perfetto anche perché Giorgia Meloni è così da sempre: dura e pura, ma anche capace di “sedurre” (riprendo l’intuizione di un editoriale del Times Uk). Donna forte di destra ma anche leader bonaria, capace di lasciarsi scivolare addosso anni di allarme fascismo (che non c’è). Insomma, mamma, donna e italiana. E ora premiata. Praticamente d.o.c. Marra segnala un altro aspetto, quello dell’alleanza tra grandi media (soprattutto social media) e politica. Per lui è espressione, immagino, di un fasciocapitalismo come naturale evoluzione storica del capitalismo classico. Forse è meglio considerarla una distorsione, neanche troppo nuova a dire il vero: il capitalismo di relazione, o crony capitalism, e cioè il modello economico delle autarchie, come nel caso della Russia di Putin e degli oligarchi e di Trump con i padroni della Silicon Valley. Di questa forma di capitalismo parlava già Adam Smith che, avendo dimestichezza con la filosofia morale (da questa competenza nasce la sua speranza in un’economia virtuosa, il libero mercato appunto), metteva in guardia dai tentativi di commistione tra potere politico ed economico, con una connivenza che finiva per inquinare il mercato. Oggi è tutto semplicemente più plateale. È evidente che Giorgia Meloni non competa alla pari con altri influencer e youtuber. È la premier di uno Stato. Certo, per quanto mi sforzi di immaginare Longobardi come un novello Voltaire alla corte di un monarca illuminato, faccio fatica a capire come sia premiabile realizzare un progetto del genere ritagliato sul profilo del politico più popolare della Repubblica.
Ora, si badi, l’Italia non è un’autarchia e Giorgia Meloni non sta lavorando alla dissoluzione della democrazia. Da Come si cura il nazi (Bifo Berardi) a oggi, gli S.O.S. FASCISMO gridati da costa a costa non si contano più. Secondo gli stessi antifascisti di oggi avremmo dovuto essere sotto dittatura dai tempi di Berlusconi. Ma la compiacenza tra grandi media, multinazionali e politici dovrebbe comunque preoccuparci, e non solo per una semplice questione di buongusto. Giorgia Meloni sta cercando di istituzionalizzare un partito volgare e parallelamente si sta garantendo un’altra vittoria alle prossime legislative. Lo sta facendo portando avanti battaglie giuste (la Riforma della giustizia) e battaglie pessime (la guerra ai rave e alla disobbedienza civile). Ma il più importante degli obiettivi che dovrà cercare di porsi è di riportare il dibattito a livelli più civili. E flirtare con le multinazionali finanche a ferragnizzarsi non la aiuterà di certo.