“Sotto due unghie di Chiara Poggi, una della mano destra e una della sinistra, è stato trovato del Dna che non appartiene ad Alberto Stasi. Non uno, ma due reperti. Non un’ipotesi, non una suggestione, non un’indicazione ambigua. Un dato”. Lo ha scritto, ormai qualche giorno fa, Vittorio Feltri, in un accorato editoriale affidato a il Giornale. Cosa pensa il direttorissimo sul delitto di Garlasco è noto da sempre. Fin da quando, già nelle primissime indagini, prese una posizione netta che gli costò anche – come hanno poi dimostrato alcune intercettazioni – l’ira di Ermanno Cappa, che provò a “zittirlo” chiamando in causa ordine dei Giornalisti, garante della Privacy e pure qualche politico amico. Per Feltri, Stasi è sempre stato innocente. E, a maggior ragione, è innocente adesso, man mano che vengono fuori tutti gli errori – e gli orrori - delle prime indagini e, con la riapertura del caso da parte del procuratore Fabio Napoleone, anche man mano che si apprendono nuove notizie e indiscrezioni. Compresa quella di una nuova impronta individuata sulla scala in cui fu trovato il corpo di Chiara Poggi e le voci che circolano sulla consulenza della dottoressa Cattaneo e la BPA dei RIS di Cagliari (entrambe segretate) che riscriverebbero orari e modalità del delitto.
Adesso, però, l’istrionico direttore s’è spinto anche un po’ oltre. Con l’editoriale pubblicato nei giorni scorsi, ma anche con le dichiarazioni affidate, ieri sera, a Zona Bianca. “Secondo me anche Andrea Sempio non c’entra” – ha affermato. C’è troppo poco sulle mani degli inquirenti e c’è il dovere di mantenersi garantisti. “Non mi sembra – aggiunge - che ci sia niente di nuovo di così interessante”. Ma c’è pure una sensazione che Feltri esplicita solo fino a un certo punto, lasciando chiaramente intendere che, a suo avviso, bisognerebbe cercare l’assassino o gli assassini oltre Andrea Sempio e Alberto Stasi. Altrimenti il rischio diventa tremendo: sostituire un colpevole senza avere la certezza che sia colpevole. Per coprire qualcuno? O per far calare il velo su come s’è indagato e come è stato gestito l’intero caso in 18 anni? Il dato di fatto è uno: il delitto di Garlasco è una spirale in cui la verità è stata soffocata da pregiudizi. Un meccanismo di ingiustizia che ha preso piede sin dall’inizio, quando, a detta di Feltri, Stasi è diventato il capro espiatorio perfetto: “un giovane educato, biondo, laureato alla Bocconi, esemplare per i media che cercavano di costruire una narrativa del colpevole perfetto”.
Il vero scandalo, secondo Feltri, non è solo l’errore giudiziario, ma la lentezza con cui la giustizia ha preso atto e sta prendendo atto di questi errori. “Si è deciso – ha aggiunto - che il colpevole dovesse essere lui, poi si è adattato il processo a quella decisione. Questo non è diritto, è arbitrio travestito da procedura”. Insomma: un gioco di forze più grandi, in cui i fatti sono sacrificati in favore di una narrazione che deve essere mantenuta a tutti i costi. Il paradosso, però, oggi sta nel fatto che, mentre il caso di Stasi si è trasformato in una battaglia contro il sistema, la verità continua a avere grosse difficoltà a emergere. Tanto che oggi, per non doverla aspettare troppo da dentro una galera, Feltri arriva a proporre una soluzione clamorosa: la grazia dal Presidente della Repubblica. Un atto che, scrive, non deve essere visto come un atto ornamentale, ma come un dovere, quando la giustizia si piega in modo così evidente a errori (solo errori?) così gravi. “Qui siamo oltre l’errore – aggiunge - siamo davanti a una vita impalata nonostante l'assenza di prove”.
Il rischio, adesso, è che quello che è accaduto a Alberto Stasi possa accadere anche a Andrea Sempio. “Questa nuova inchiesta non mi convince – ammette Feltri - mi sembra che stiano facendo un gran casino. Dopo diciotto anni non trovi niente e infatti non mi sembra che ci sia niente di nuovo di così interessante da poter dire che siamo vicini al punto di risolvere il caso. C’è una tale confusione, mi sembrano tutti un po’ ubriachi”. Come se “il sistema”, insomma, non volesse vedere la possibilità di un’altra verità da andare a cercare. Qualcosa che lui ha già visto e che, a suo tempo, gli è costata anche un tentativo di fargli fermare la penna. Ma sull’intercettazione in cui si afferma che Ermanno Cappa, zio di Chiara Poggi e padre delle gemelle Paola e Stefania, provò a darsi da fare per evitare che scrivesse ancora così a favore di Stasi, il direttorissimo continua a non volersi esprimere. “Per me – aveva già detto all’indomani della pubblicazione di quelle intercettazioni - uno che fa una cosa del genere è un avvocaticchio”.