Tutto il mondo, ma soprattutto l’Italia, esulta per la liberazione dello studente Patrick Zaki, tenuto in prigionia in Egitto ormai da tre anni. Studente dell’Università di Bologna e attivista dei movimenti studenteschi di sinistra, è stato scarcerato grazie alla diplomazia di un governo di centrodestra, in particolare alla personale mediazione della premier Giorgia Meloni e del ministro degli esteri Antonio Tajani. Eppure, alla sinistra non è andata giù che sia stato l’attuale esecutivo a portare a casa un risultato attesissimo. Peccato, perché i governi precedenti, nonostante gli sforzi, non sono riusciti a portare a casa alcun risultato. Il buon Zaki, finalmente libero, è tornato a Bologna e non ha ringraziato la premier Giorgia Meloni per par condicio, rifiutando anche l'offerta del volo di Stato (ben quattro soluzioni, a quanto pare). Ci rendiamo conto della gravità della situazione? Il ringraziamento è un gesto di educazione, non un mood politico. Al di là di essere moralmente fuori luogo e con un livore sinistroide oltre misura, Patrick Zaki è quindi di nuovo pronto all’attivismo politico (a sinistra, ça va sans dire, e candidarsi in qualche lista del Pd o innalzato a simbolo di libertà). Il copione è già scritto. Telecomandato dalla radicalità che si respira negli ambienti studenteschi dell’Università di Bologna, Zaki ha carpito tutto il peggio di una generazione che non sa cosa dire un grazie o un prego, presa da una "rivoluzione" che la porterà a sbattere (se non lo ha già fatto). Zaki è libero ma i paladini di sinistra durano come un gatto in tangenziale, qualcuno glielo spieghi quanto prima, onde evitare di dichiarare altre sciocchezze. Magari in italiano, visto che, nonostante la laurea con 110 e lode all'università bolognese, finora non abbiamo avuto il piacere di sentirgli pronunciare neppure un "ciao" (come ha segnalato Paolo Mieli).
Da una liberazione umana ad una prigionia mentale: Disney. Che senso ha variare le novelle o i romanzi della tradizione? Perché, se si vogliono esaltare diritti e parità, non si scrivono storie nuove che facciano capire l’importanza di questi fondamentali principi? È logico che dietro ci sia un disegno ben studiato della Disney per reinventare una realtà che (solo) a loro non sta bene. La multinazionale dei cartoons e dei movies sta attraversando un periodo nerissimo per quanto concerne gli incassi al cinema e in più è in un ciclone di polemiche per quanto concerne un inutile politicamente corretto, che oltre a far del male a lei, lo fa alle future generazioni. Se Ariel, ne La Sirenetta, ha la pelle bianca slavata, perché nel live action è di colore? Il problema non è il colore della pelle, è la variazione della storia e della chiara identità di un personaggio fondamentale. O ancora, in ordine di tempo, di Biancaneve e i sette nani, celebre cartone animato tra i più visti e celebri al mondo. Nel remake, che in generale non hanno alcun senso, niente principe azzurro perché la donna si deve salvare da sola; niente nani perché la presenza è discriminatoria, al loro posto creature alte, basse, magre, grasse, di diversa etnia. Qui si rasenta il ridicolo. Cosa diremo ai ragazzi che leggeranno il libro, vedranno il cartone in prima versione e poi la riproposizione? Che senso ha, ai fini della storia, edulcorare la realtà per le bizze di due creativi e tre sceneggiatori? Sono domande che fanno rabbia al 95% della popolazione mondiale eppure il restante 5% vuole comandare sulle menti altrui, soprattutto quelle dei bambini che, se continueranno a vedere certi contenuti, penseranno che da grande sarà normale scegliere se diventare uomo, donna, pianta o animale. Ognuno è come è, con la propria identità, sia essa maschile, femminile, omosessuale o trans. Dietro le regole Disney, non scritte e confuse, non c’è solo il rimbecillimento di un’intera generazione, ma un capovolgimento da far accapponare la pelle ai quegli scrittori che hanno fatto la storia della letteratura e ci hanno fatto crescere con sani principi, senza moralità imposta.
Invece chi ha cambiato la moralità della propria azienda è Piersilvio Berlusconi. Via le cocche di papà Silvio, Barbara D’urso e Belen Rodriguez, dentro Bianca Berlinguer, Myrta Merlino e Luciana Littizzetto, per pareggiare il clima politico per troppi anni spostato sul lato destro. Se di tali situazioni ne hanno parlato a bizzeffe giornali e blog, la notizia a livello televisivo che ha dell’incredibile è questa: il ruolo d’opinionista al Grande Fratello Vip, fuori Orietta Berti e Sonia Bruganelli, dentro Cesara Buonamici. In solitaria. Una rivoluzione editoriale di fortissimo impatto. Se pensiamo che quel ruolo è stato ricoperto da Alfonso Signorini, Cristiano Malgioglio, Iva Zanicchi, Adriana Volpe, Vladimir Luxuria, è facile arrivare alla conclusione che il vento in Mediaset sia davvero cambiato, senza “se” e senza “ma”. Se i sopracitati erano (e sono) spesso appollaiati sul trash, come il ruolo di opinionista comanda, con la bonaria Cesara tutto prenderà un tono più casalingo e familiare. Il ruolo della storica giornalista del Tg5 sarà quindi quello di contenere urla elitigi e di dare al programma una dimensione soft seppur nell’esagerazione generale, di far capire al pubblico che si può anche guardare un reality, non con occhi critici ma costruttivi. Solo gli ascolti daranno torto o ragione al buon Piersilvio, appuntamento a settembre.