Novecentomila tonnellate di rifiuti sono quasi mille milioni di chili. Se poi questi mille milioni di chili sono di ferro e arsenico dovreste provare a immaginarvi una sfera alta quanto un palazzo da venti piani, poco meno di quaranta metri d’altezza. Ecco, questo è quanto si celerebbe sotto il centro di Brescello, il paesello dell’Emilia Romagna dove c’è la statua di Peppone davanti alla chiesa che nel celebre film era quella governata da Don Camillo, se non fosse che gran parte di questa sfera di rifiuti è stata sparsa, ancora a cielo aperto, con una conformazione granulare simile alle piccole pietre laviche. Il resto è tutto sotto terra. Lo racconta Antonello Caporale sul Fatto Quotidiano in un bel reportage in cui racconta la preoccupazione e l’indifferenza della gente di Brescello, perché al nord la ‘ndrangheta sia pressoché invisibile pur essendo potentissima. Ad ogni modo le attuali indagini, ancora in fase preliminare, dell’inchiesta “Veleno d’acciaio” condotta dalla Procura di Reggio Emilia per il momento non arrivano a dire quel che tutti, o quasi, da quelle parti pensano.
Brescello è marchiata a fuoco dalla famiglia Grande Aracri, il cui pater familias Francesco, fratello del boss Nicolino, imprenditore edile, nel 2014 venne definito uomo gentile dall’allora sindaco del Pd Marcello Coffrini, il quale in un’intervista dichiarava di non credere vi fossero infiltrazioni mafiose nel comune, salvo poi doversi dimettere e constatare l’esatto contrario perché il comune venne sciolto per mafia in quella Bassa Reggiana dell’operazione “Grimilde”. Francesco Grande Aracri, come lo ha definito il Fatto Quotidiano, un ‘ndranghetista moderno capace di insinuare le terre emiliane con metodi più raffinati e meno palesi dei suoi predecessori. Ad ogni modo, tra il 2008 e il 2015, lo sversamento abusivo di rifiuti tossici di cui si accennava in precedenza vanterebbe un’ampiezza tale da insinuarsi fino alle falde acquifere sottostanti la Piazza Matteotti, dove c’è la statua di Peppone, il comunista proletario, contraltare al Don Camillo, simbolo della sempiterna Democrazia Cristiana. Un paesino, quello di Brescello, dove ad un certo punto in massa da Cutro una nutrita comunità calabrese si è mossa e si è stabilita. Non che nel paese di Brescello di conseguenza sia cambiato qualcosa, perché chi comanda naturalmente nella provincia ha grande interesse a non avere rotture e dunque un po’ per l’indifferenza, un po’ per l’impossibilità di comprendere la complessità di certi sistemi criminali, la gente fa finta di nulla, oppure ha paura a parlare, o semplicemente non è interessata a problematizzare quell’ovvio e quella calma di provincia dove , però, si concretizza la quintessenza della corruzione. Lo si vede quotidianamente a Garlasco, il cui caso si è riaperto in seno alle inchieste per corruzione del comune e della procura di Pavia Clean I, II e III.
A Brescello è dal 2023 che la Procura di Reggio Emilia, sotto il procuratore capo Calogero Gaetano Paci, ha dato il via ad indagini sulla gestione di una maxi discarica non autorizzata che avrebbe addirittura contaminato le falde acquifere con ferro e arsenico oltre i limiti consentiti grazie alla connivenza di alcuni tecnici dell’Arpae. La principale società finita sotto inchiesta sarebbe la Dugara Spa, società con progetti per un grande polo logistico nell’area interessata dallo smaltimento abusivo. Il materiale contaminante sarebbe stato mappato sotto terreni agricoli e vicino a corsi d’acqua minori con il rischio di infiltrare addirittura il fiume Po.