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Cosa c'entra Chiara Poggi con Ilaria Alpi? Il mistero del certificato di morte della giornalista uccisa in Somalia ritrovato a Garlasco. Cosa collega le due storie e altre cose molto strane

  • di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

17 novembre 2025

Cosa c'entra Chiara Poggi con Ilaria Alpi? Il mistero del certificato di morte della giornalista uccisa in Somalia ritrovato a Garlasco. Cosa collega le due storie e altre cose molto strane
Finora su Garlasco si è detto tutto, tranne una cosa importante: perché il certificato di morte di Ilaria Alpi sarebbe stato ritrovato nel 1995 proprio a Garlasco e oggi non ne resta traccia? Forse dietro l’omicidio Poggi si cela qualcosa di molto più grande e misterioso e l'omicidio di Chiara Poggi è soltanto uno specchietto per le allodole

di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

Finora su Garlasco si è detto tutto. Ma una cosa molto importante sfugge continuamente. Ovvero inquadrare il problema del sistema Pavia e del conseguente omicidio di Chiara Poggi dal giusto punto di vista. Vi diamo un suggerimento. Anzi, vi poniamo una questione. Come mai il certificato di morte di Ilaria Alpi sarebbe stato ritrovato nel 1995 proprio a Garlasco? E perché oggi di quel documento non vi è più traccia? Bella domanda. Forse perché a Garlasco e nella provincia di Pavia, al di là dell’omicidio Poggi, si nasconde qualcosa di molto più grande e misterioso. Qualcosa di talmente grande che l’omicidio di Chiara Poggi, per quanto grave, ne è soltanto una tragica conseguenza marginale. La sua mediaticità, uno specchietto per le allodole. Prendiamola alla lontana, torniamo indietro nel tempo. Siamo nel 1987, è il 21 settembre, Chiara Poggi ha sei anni, vive a Garlasco e le vacanze estive sono finite da quasi un mese. Il mare è un ricordo lontano, ma a Capo di Spartivento, in Calabria, fa ancora molto caldo. Chiara Poggi non sa che quella notte, a Capo di Spartivento è affondata una nave, una carretta del mare dal carico sconosciuto. Dell’affondamento non se ne accorge nessuno, perché a partire dall’equipaggio nessuno sengala l’emergenza, nessun SOS, né tantomeno alcuna denuncia, né traccia di tutto questo nei registri delle autorità marittime locali e nazionali. Se l’armatore Papanicolau non avesse chiesto a Lloyd’s i danni d’assicurazione, nessuno si sarebbe attivato per condurre un’indagine su quella nave piena di containers che, partita da Marina di Carrara, avrebbe dovuto raggiungere il porto di Limassol. L’equipaggio si salva per caso su di una nave jugoslava che passava di lì. I sopravvissuti sbarcano a Tunisi e non in un qualsiasi porto italiano lì vicino. Singolare.

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La Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Formiciche Foto Ansa

Le indagini di Lloyd’s vanno avanti sulla carretta del mare di nome Rigel. Risulta che il carico non sia mai stato controllato alla dogana. Viene fuori che nella stiva doveva esserci “polvere di marmo”. Qualche persona parla. Circa 60 container contenevano blocchi di cemento. Secondo il pm Francesco Neri della procura di Reggio Calabria, che erediterà le indagini condotte sino a quel momento, il cemento non serve certo per affondare la nave. Serve a cementificare rifiuti radioattivi. Andiamo avanti veloce. Ora siamo nel maggio del 1995. L’indagine delle cosiddette “navi a perdere” è iniziata da circa un anno, su impulso delle indagini già condotte da Lloyd’s. Chiara Poggi ha 14 anni, la scuola finirà tra un mese, è primavera ed è appena tornata a casa per pranzo. Chissà se Chiara Poggi si è accorta che a qualche chilometro da casa sua, in via della Costa 14, l’abitazione di un signore residente a Mazara del Vallo, tale Giorgio Comerio, è circondata dai carabinieri di Reggio Calabria e di Matera insieme con gli agenti del Corpo Forestale di Brescia. Sono stati mandati dai pm di Reggio Calabria e di Matera, Francesco Neri e Nicola Maria Pace. Il signor Comerio, però, non è in casa, apre la porta la sua convivente Giuliana Giunta. In villa Comerio da qualche tempo si svolgono ritrovi per buddhisti e da un anno circa è la sede del club Forza Italia Ticino, detto anche “circolo Croquet”, successivamente non riconosciuto dal partito ufficiale fondato da Berlusconi. Tra chi perquisisce vi è il maresciallo capo Domenico Scimone, che affermerà di aver visto con certezza il certificato di morte di Ilaria Alpi tra le carte sequestrate. Anche il Pm Francesco Neri afferma la stessa cosa. Comerio smentirà, anzi la sua convivente smentirà la notizia, dicendo che si trattava del certificato di morte della madre del suo compagno, venuta a mancare, però, dopo l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il verbale della perquisizione è firmato da Natale De Grazia, il capitano di corvetta del porto di Reggio Calabria, che sin dall’inizio di questa storia ha capito che Giorgio Comerio è legato al business dello smaltimento dei rifiuti radioattivi. Comerio è un ingegnere elettronico, da quanto si apprende da alcuni documenti desecretati dal Sismi. E’ un imprenditore, sua l’azienda Odm, che produce missili subacquei particolarmente adatti ad affondare grandi imbarcazioni. Questi missili, o telemine, furono oggetto interesse anche dell’Iran, ma questo è un altro discorso. Si dice in giro che Comerio sia un uomo di Gladio. De Grazia ha scoperto che non solo la Rigel è stata affondata sette anni addietro per smaltire scorie radioattive, ma che le navi di cui si sono perse le tracce sarebbero almeno 14, e nel frattempo il fenomeno è continuato indisturbato, o quasi. Perché da quando una di queste imbarcazioni, la Jolly Rosso, nel 1990 invece di colare a picco, scelse di arenarsi sulla spiaggia di Formiciche, da lì iniziarono ad esserci dei problemi seri.

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Giorgio Comerio - dossier SISMI desecretato

Da lì ha avuto inizio l’inchiesta sulle cosiddette navi a perdere da parte della procura di Reggio Calabria ed è per questo che Natale De Grazia conosce la storia sin dall’inizio. E’ lui che dai mari del sud Italia è risalito fino a Garlasco ed è sempre lui a firmare l’informativa successiva alla perquisizione della casa di Comerio. Qui vi trova, progetti di lancio di penetratori (i missili di cui si accennava prima) nei fondali marini per smaltire rifiuti radioattivi, progetti per tele-mine, agende, documenti sulla sua società Odm, e in particolare un dossier intitolato “Somalia” a proposito di un certo traffico di rifiuti speciali. Questo fascicolo metteva in relazione Comerio con la morte di Ilaria Alpi. Qualche mese più tardi, De Grazia, giungeva molto vicino a cogliere in flagrante i responsabili, a bordo una nave ex Kgb, la Latvia, ancorata nel porto di La Spezia e di lì a poco sarebbe andata incontro allo stesso destino delle sue simili. Una volta partito per intercettarla, De Grazia chiama il pm di Matera Pace per avvisarlo che al suo ritorno lo avrebbe condotto nel luogo esatto dove era affondata la Rigel. Si ferma nel salernitano in un ristorante fuori mano per un boccone prima di proseguire il viaggio. Muore di lì a qualche ora “per cause naturali”. Infarto. L’indagine di De Grazia, oltre a rallentare dopo la sua morte e a chiudersi due anni dopo, non venne mai unificata all’inchiesta contro ignoti su Ilaria Alpi del pm Franco Ionta presso la procura di Roma. In quest’ultima indagine, tra i tanti teste più o meno depistanti fu audito Francesco Pazienza, altro agente Gladio, legato ad “un presunto traffico di armi a cui” sarebbe stato interessato “anche il noto Licio Gelli”. Questo è quanto risulta scritto in una nota della Procura di Palmi del 21 giugno 1993, inviata al procuratore di Alessandria a proposito di un’indagine su Roberto Ruppen. Lo stesso Francesco Pazienza il 21 febbraio 2016 si trovava in compagnia di Roberto Sindoca (anche lui notoriamente ex agente Gladio coinvolto nel caso della cosiddetta polizia parallela e nelle inchieste P3-4), di fronte al Tribunale di Pavia in cui si svolgeva il processo per falsa testimonianza di Francesco Marchetto, l’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Garlasco che tra i primi mise piede sulla scena del crimine in casa Poggi con le mani in tasca perché “erano finiti i guanti”. Pazienza, è venuto a mancare a giugno di quest’anno, a 79 anni, meno di un mese dopo la riapertura delle indagini sul caso di Garlasco, che trae origine dalle inchieste Clean sul sistema Pavia. Ora tutte queste sono certamente solo coincidenze, non c’è dubbio. Però che strano, un paesino dimenticato da Dio come Garlasco, e la provincia di Pavia per essere più precisi, parrebbe essere un crocevia di pezzi da novanta dei servizi segreti italiani e di faccendieri oscuri. Cosa c’è di così interessante da quelle parti? Qualche misteriosa corrente tellurica custodita nel sottosuolo? O forse determinate aziende che producono un bene strategico per la diplomazia del nostro paese con certi paesi dell’Africa e del Medioriente?

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I cadaveri di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Sono solo stupide ipotesi che non vogliono dire nulla. Da quelle parti vi sono piccoli e grandi attori nel settore del riso, una filiera molto delicata e soprattutto molto breve, composta da pochi trader a livello internazionale, nei quali si concentra un potere contrattuale immenso. Il riso, oltre ad essere un alimento determinante alla sicurezza alimentare dei paesi asiatici, mediorientali e africani (Iran, Siria, Libano e Libia inclusi), trasportato nei container via terra e via mare è talvolta utilizzato per camuffare armi e cocaina. Ma il riso è una commodity come le altre. Basti pensare che la nave XXI Ottobre della società somala Shifco filmata da Alpi e Hrovatin era stata finanziata dalla Cooperazione italiana, un ente operativo del ministero degli Esteri che trasportava pesce, oltre agli Ak-47 che compaiono nei pochi fotogrammi a noi pervenuti. Ma siamo certi non vi fosse dell’altro sul resto della flotta di cui non si è saputo più nulla? E perché non si è saputo più nulla? In giro, si racconta, tra l’altro, che nel 1994, quando Alpi e Hrovatin vennero uccisi, il traffico di riso da Ravenna a Bosaso s’interruppe per un po’. Ad ogni modo, il pavese è anche costellato di personaggi assurdi. L’avvocato Massimo Lovati, ad esempio, fa strani sogni in cui potenti e intoccabili organizzazioni criminali ci mettono “due secondi a spararti in bocca”, perché “la verità” sull’omicidio Poggi  “non verrà mai fuori”. Oppure personaggi come l’ex assessore “sceriffo” di Voghera – a qualche chilometro da Garlasco – Massimo Adriatici, che se ne va in giro armato ad ammazzare a sangue freddo spacciatori nord-africani (è attualmente indagato per omicidio volontario, perché secondo la procura di Pavia non può trattarsi di legittima difesa), il quale spiegò che la pistola gli serviva per tutelarsi, dati gli “importanti segreti d’ufficio” da lui custoditi. Certamente l’arcano che alberga in Adriatici non sarà il nome dell’assassino di Ilaria Alpi, forse qualcosa di più becero e semplice intuizione, avente a che fare con il sistema Pavia e non con l’omicidio di Chiara Poggi in sé, dato che l’ecosistema mafioso che si profila sull’orizzonte padano descrive uno squarcio nella nostra società più profondo di quanto si potesse pensare. Uno spaccato che parte dal più stupido degli spacciatori e arriva davvero in alto, sino a raggiungere le più raffinate intelligenze di quel mondo inaccessibile che nessuna inchiesta, mai e poi mai, dovrebbe nemmeno lontanamente sfiorare. E allora domandiamoci ancora una volta, perché tra tutti i luoghi possibili e immaginabili, proprio a Garlasco si dice sia stato ritrovato il certificato di morte di Ilaria Alpi?

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