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Perché Damiano Tommasi a Verona
ha già vinto (e Giorgia Meloni ora ha un problema)

  • di Alessio Mannino Alessio Mannino

13 giugno 2022

Perché Damiano Tommasi a Verona ha già vinto (e Giorgia Meloni ora ha un problema)
L’ex calciatore Damiano Tommasi, candidato sindaco del centrosinistra veronese, ha staccato il centrodestra, diviso fra l’uscente Federico Sboarina e l’ex sindaco Flavio Tosi. Una vittoria morale e politica che gli apre la strada per il ballottaggio in una città storicamente orientata a destra. Uno schiaffo non solo per la Lega, ma soprattutto per Fratelli d’Italia. I motivi del sorpasso? Ecco quali sono

di Alessio Mannino Alessio Mannino

La vera sorpresa di queste elezioni amministrative ha una location precisa, Verona, e un nome e un cognome: Damiano Tommasi. Il candidato sindaco del centrosinistra scaligero con il 40% dei voti al primo turno è riuscito nell’impresa di superare con significativo stacco, in una città da sempre schierata a destra, l’uscente Federico Sboarina (33%), sostenuto da Fratelli d’Italia e Lega, e l’influente ex sindaco Flavio Tosi (24%). La chiave del successo dell’ex centrocampista del Verona e della Rom e presidente dell’associazione calciatori fino all’anno scorso la riassume in una formula Federico Benini, capogruppo Pd in riva all’Adige e titolare dell’istituto di sondaggi Winpoll: “Con il suo stile sobrio, ha rappresentato il ritorno alla normalità. Dopo anni di arroganza e promesse non mantenute, Damiano Tommasi era l’unico elemento di novità e di rottura”.

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Damiano Tommasi

Padre di sei figli, obiettore di coscienza e seguace di don Lorenzo Milani, Tommasi ha condotto una campagna elettorale del tutto atipica: niente manifesti nelle strade, nessuna benché minima ricerca di scontro con gli avversari, nessun tonitruante comizio, niente inopportune foto con segretari di partito come Enrico Letta o Giuseppe Conte, e soprattutto nessun annuncio di grandi opere più o meno propagandistiche da realizzare in futuro. Il massimo della tensione è stato presentare un programma di coalizione, denominata “Rete!”, che di fatto era un elenco di valori generici (“comunità, famiglia, prossimità, solidarietà”). Praticamente una non-campagna, secondo gli standard della comunicazione urlata e a effetto a cui ci hanno abituato le competizioni nei Comuni, fortemente personalizzate e di regola dure, ciniche. Frutto di una strategia curata dall’agenzia Quorum di Giovanni Diamanti, la scelta è stata ritagliata su misura del carattere dell’uomo: mite, schivo, look minimal se non dimesso, con i tratti dell’idealista, anzi del “chierichetto”, com’è stato definito senza che egli se ne avesse a male. Cattolicissimo in una Verona iper-cattolica (e non solo per la forte presenza della Diocesi, ma anche di realtà come l’Opus Dei), Tommasi si è trovato a suo agio nelle piazze e nei mercati rionali dove ha mostrato il volto, secondo Benini, di “una persona limpida, genuina, aliena rispetto al sistema di potere di centrodestra che dopo quindici anni è evidentemente incrostato. La gente non ne può più di sentire promesse su promesse”. Una persona normale, perbene, senza svolazzi né rodomontate: ecco l’identikit dell’amministratore ideale dopo due anni di blablabla sistematico della politica ai tempi del Covid e del caro-vita.

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Damiano Tommasi

Ma anche l’elemento nuovo in una gara in cui lo sconfitto è già acclarato: il sindaco in carica Federico Sboarina. Ex civico passato a Fratelli d’Italia alla vigilia della campagna elettorale, Sboarina ha subito prima la defezione ufficiale di Forza Italia, che ha appoggiato Flavio Tosi per l’accumularsi di ruggini risalenti ancora a due anni fa, quando il primo cittadino nominò assessore un forzista, Stefano Bianchini, commettendo uno sgarbo verso il partito berlusconiano che non era stato preventivamente ascoltato. Poi è stato vittima del fuoco amico da parte della Lega, delusa per il suo passaggio all’alleato-rivale Fratelli d’Italia (“Io non voterei Sboarina perché è stato scorretto, molti elettori leghisti sono scontenti del suo non-operato”, aveva detto l’ex segretario regionale del Carroccio Gianantonio Da Re il 17 marzo). Infine, il paradosso: “È evidente che anche Fratelli d’Italia, il suo partito, non l’ha votato in massa, e questo è un dato gravissimo per Giorgia Meloni – osserva Benini - C’è stato un vero e proprio problema-Sboarina: non ha funzionato il candidato. Il motivo è semplice: il suo immobilismo, in questi cinque anni non ha fatto niente, e non si può arrivare al voto facendo altri annunci. E non si usi la scusa della pandemia: Sboarina è stato eletto tre anni prima. È già politicamente morto”. Spiazzante? Anche no: “L’ultimo sondaggio uscito prima delle urne, fatto da Demetra, lo dava al 38%, con Sboarina al 29”. A sfregarsi le mani è anche Tosi, che ha dimostrato di contare ancora su un seguito personale vasto e ramificato, e che secondo il sondaggista Benini “potrebbe andare al ballottaggio, perché gli elettori di Sboarina dopo un fiasco del genere rimarranno in maggioranza a casa”. A nulla è valso anche l’impegno diretto, in piazza, del presidente del Veneto Luca Zaia: alle comunali, il cittadino dà la propria preferenza al candidato locale. Strano che la rodata macchina elettorale leghista non l’abbia capito. “Sono ar-ro-gan-ti”, sillaba Benini per tutta risposta. Lo spoglio definitivo rivelerà l’identità dei due protagonisti al doppio turno. Per l’intanto, Damiano Tommasi ha senz’altro già vinto moralmente e simbolicamente la sua partita. Sempre, ça va sans dire, con understatement da bravo ragazzo: “Avendo sempre fatto pochi gol, non so come si esulta – ha dichiarato a caldo ieri - ma so che ce la metteremo tutta”.

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