“Ai nostri lettori: non ci sarà nessun JDD domenica 30 luglio. Uno sciopero della redazione del Journal du Dimanche ci impedisce di pubblicare il vostro giornale del 30 luglio 2023 sia nella versione digitale che nella versione cartacea”. Con queste parole in Francia erano stati accolti i lettori nella home page del JDD così come su X. I giornalisti del settimanale - la cui quota di maggioranza è della società di Vincent Bolloré, imprenditore di orientamento conservatore - si opponevano all’arrivo del nuovo direttore Geoffroy Lejeune, noto per la sua adesione alle tesi di estrema destra. Il nuovo direttore entrava in carica alla testa di una redazione fantasma. In effetti i giornalisti erano in “grève” dal 22 giugno perché rifiutavano di essere diretti da Geoffroy Lejeune, "i cui valori sono totalmente in contrasto con quelli del JDD". La redazione chiedeva al gruppo Lagardère di "offrire ai giornalisti garanzie di indipendenza legale ed editoriale". Poi lo sciopero è rientrato, ma sorgono spontanee alcune domande: come facevano questi giornalisti ad essere in sciopero da così tanto tempo? E potrebbe mai capitare in Italia?
Proviamo quindi ad analizzare com’è la situazione dei giornalisti Oltralpe, confrontandola con il nostro Paese. In Francia, seppur la precarietà prenda sempre più il passo e la crisi del settore sia evidente, i giornalisti sono più tutelati che in Italia. I posti fissi con contratto a tempo indeterminato (CDI) sono rari ma esistono, sia nella stampa che in televisione e in radio. I giornalisti con un CDI rispondono ai diritti e doveri stipulati nella Convenzione collettiva nazionale dei giornalisti. Questa preziosa Convenzione regola i rapporti tra i datori di lavoro e i giornalisti: tredicesima, assenze, collaborazioni, diritti d’autore, diritto d’espressione, ferie, incidenti di lavoro, lavoro di notte, malattia, stipendi, periodo di prova e visite mediche, solo per citare alcuni dei temi coperti dalla Convenzione. Anche in Italia esistono tre contratti collettivi dei giornalisti che ricoprono tutti i settori, ci ha spiegato Mattia Motta, giornalista freelance e Consigliere nazionale della Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), ma “questi contratti coprono circa 12mila persone. Solo che in Italia di giornalisti ce ne sono almeno 35mila.” In Francia invece la Convenzione collettiva nazionale dei giornalisti si applica anche ai giornalisti precari.
"Ci costa riconoscerlo: abbiamo rimesso in piazza il tema dell’indipendenza delle redazioni, di fronte ai nostri azionisti, ma non abbiamo vinto", si legge una volta revocato lo sciopero più lungo della storia dei giornali francesi nel comunicato di redazione. Cosa significa? "La nostra redazione sta scomparendo, ma si è formato un potente collettivo" è stato specificato. In pratica, come riporta Il Post, "starebbe infatti nascendo un’associazione che lavorerà per modificare le leggi francesi che disciplinano la stampa «al fine di garantire l’indipendenza delle redazioni e la tutela dei giornalisti nell’esercizio della loro professione»". Dopo questa sconfitta, al Parlamento francese è stata presentata una proposta di legge che consentirà ai giornalisti che hanno ricevuto delle sovvenzioni governative, come il JDD, di avere un ruolo sulla scelta del direttore. E la politica? Si è schierata (quasi) tutta in questa direzione: è stata firmata da tutti i partiti, tranne che dal Rassemblement National di Marine Le Pen e dai Républicains. Non solo, perché il presidente Emmanuel Macron ha annunciato per settembre delle discussioni pubbliche sull’informazione per rafforzarne l'indipendenza. Vedete grosse differenze con l'Italia?