Arrivi nel pratone di Pontida e da dietro sembra che ci sia il pienone. Poi ti infili tra le persone e scopri i vuoti, come se il popolo leghista fosse stato disposto da un regista televisivo, più che dalla passione che lo unisce. Perché oggi la Lega non è mai stata così polarizzata. Da una parte i gruppi del Nord – veneti, friulani, piemontesi, emiliani – che si guardano storto con quelli del Sud, saliti con prodotti tipici e banchetti improvvisati a lato del palco. Una fiera dentro la fiera, più che un congresso politico. Ci sono i Maga, con ragazzini di colore che sfilano col cappellino “Make America Great Again”, e i leghisti storici che non capiscono come mai debbano sentirsi rappresentati da un fenomeno importato da Oltreoceano più che nato tra le valli bergamasche. C’è chi agita bandiere israeliane e sostiene Netanyahu, mentre poco distante gli autonomisti sardi li guardano di traverso, pensando che, a rigor di logica, la loro lotta dovrebbe stare forse più coi palestinesi che con lo Stato ebraico. E ci sono gli irriducibili “vichinghi”, i bossiani sopravvissuti al rito dell’ampolla: oggi figure folcloristiche, buone per le foto ricordo come i "gladiatori" intorno al Colosseo, e ormai incapaci di incidere su un partito che ha cambiato pelle troppe volte.

Non a caso, quando parte l’omaggio a Charlie Kirk – l’attivista americano ucciso da Tyler Robinson, per motivi finora non ancora accertati – dalla folla si leva più di un mormorio: “Ma che caz*o c’entra con noi?”. È il segno che il trasformismo del segretario Matteo Salvini ha ormai superato ogni frontiera identitaria. Qualsiasi istanza conservatrice, anche se in contraddizione con altre, continua a trovare casa in questa Lega mutante senza che nessuno sappia tenerla insieme con una sintesi programmatica. E quindi sono visibili a occhio divisioni e mugugni. Lo testimoniano i bigliettini lasciati lungo le vie di Pontida: “Lega traditora e ladrona, l’elettore non ti perdona”. Dei “pizzini” di carta che pesano forse più di mille striscioni. Sul palco, poi, quando parla Salvini gli applausi arrivano più convinti soltanto quando evoca le radici cristiane, il rifugio sicuro in tempi di crisi. Sul Ponte sullo Stretto, il progetto bandiera del suo mandato da ministro dei Trasporti, cala invece un silenzio assordante, quasi imbarazzante (e c'è chi indossa t-shirt esplicitamente di protesta).


Eppure qui si gioca la tenuta del governo Meloni. La Lega oggi è all’8,5%: numeri da comprimario, lontani anni luce dal 34,33% del 2019 che facevano pensare a un "Capitano" premier. Sono passati sei anni che però sembrano un secolo. Ora mancano due anni alle politiche del 2027, ma a furia di metamorfosi il rischio è che la leadership camaleontica di Salvini riduca la Lega a un puzzle di impossibile risoluzione. Così Pontida, per anni il tempio del “celodurismo”, oggi somiglia più a una sagra delle contraddizioni. Un luna park politico dove ogni giostra gira da sola, ma senza mai incontrare le altre.
