Nella sua accezione estremizzata e distorta, fino a qualche anno fa il concetto di jihad veniva utilizzato dai gruppi terroristici islamici per giustificare attentati a ripetizione contro i nemici dell'islam, quasi sempre nemici coincidenti con l'Occidente e Paesi/governi occidentali o filo occidentali. Era una lotta senza sosta e interruzione. Un terrore continuo che poteva colpire ovunque: a Bruxelles come a Londra, a New York o Madrid. Poi, un bel giorno, la lotta contro gli estremisti bombaroli è terminata. A livello mediatico le notizie dei giornali generalisti dedicate all'Isis e ai suoi affiliati sono diminuite fino a essere sintetizzate in piccoli trafiletti. Bene, no? I valori occidentali hanno avuto la meglio su chi minacciava di invadere Roma e issare la bandiera nera su Piazza San Pietro. In realtà non è andata proprio così. Di tanto in tanto qualche “lupo solitario” ha commesso attentati sparsi in giro per l'Europa al grido di “Allah Akhbar”. Certo, il cuore caldo del radicalismo islamico restava sepolto sotto tonnellate di diplomazie incrociate, alleanze geopolitiche e strategie di difesa sempre più efficaci. E poi cosa è successo? Il ritiro degli statunitensi dal martoriato Afghanistan e la caduta di Assad in Siria hanno ridato smalto a un fenomeno dimenticato. Quel fenomeno è tornato a preoccupare le cancellerie occidentali dopo lo scoppio della guerra nella Striscia di Gaza. Il motivo è semplice? Le intelligence temono che i furbissimi jiahdisti possano intrufolarsi in mezzo a qualche organizzazione pro palestina, soffiare sulle proteste contro Israele e surfare l'attivismo pro Gaza per raccogliere adepti e seminare idee pericolose nel Vecchio Continente. Che, per inciso, si dimostra sempre fertile quando si tratta di assorbire, appunto, idee pericolose.

I complottisti non hanno dubbi: il terrorismo islamico è uno spauracchio usato da Usa e Israele per convincere l'opinione pubblica globale che le azioni di Tel Aviv nella Striscia di Gaza per debellare Hamas sono cosa buona e giusta. Questi signori si sono ulteriormente convinti dopo aver ascoltato le ultime dichiarazioni Matteo Salvini. “Stiamo vivendo un momento complicato e molta di questa gente che sta protestando, sta bloccando le strade, sta interrompendo le lezioni nelle università non penso che sappia per cosa lo sta facendo, perché il terrorismo islamico è il principale problema al mondo oggi. Israele ha tutto il diritto di garantire e garantirsi un futuro sereno”, ha dichiarato il vicepremier italiano, nonché ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel corso di un'intervista rilasciata al canale israeliano i24New. Lasciando perdere complottari e complottisti, è oggettivamente singolare che tutti tornino adesso a parlare di terrorismo islamico. Ignorando però che i terroristi ci sono per davvero, sì, ma non tanto nelle città europee, bensì in alcune aree calde del pianeta dove si stanno combattendo alcune sfide invisibili che coinvolgono grandi potenze del calibro di Russia, Stati Uniti e Cina. Il caso più evidente riguarda l'Africa ricca di Terre Rare e minerali preziosi. Qui, infatti, gli islamisti radicali stanno avanzando verso la capitale del Mali e mettendo sotto pressione il Burkina Faso e il Niger, tre Paesi – sarà un caso? - vicini a Mosca e Pechino, e lontani anni luce dal blocco occidentale.

Dei “nuovi” jihiadisti non sappiamo un caz*o: da dove vengono, cosa vogliono ma soprattutto chi li finanzia. La narrazione ufficiale spiega che gli estremisti fanno parte di gruppi presenti nel Sahel come il Gruppo di Sostegno all'Islam e ai Musulmani (Gsim), affiliato di Al-Qaeda, e l'immancabile Stato Islamico rinato più e più volte sotto sigle diverse. Il loro obiettivo: proteggere comunità locali dai governi corrotti e conquistare più territorio possibile. Queste rivendicazioni sono fumo negli occhi per la Russia, che in Africa conta numerosi mercenari in difesa di leader amici e Paesi partner, e per i cinesi, che nel continente hanno investito ingenti quantità di denari per costruire infrastrutture e ottenere risorse strategiche, dal cibo alle citate Terre Rare necessarie per alimentare l'industria hi-tech del futuro. Il “ritorno” dei jihadisti (si fa per dire: chi si occupa di Africa sa bene che il terrorismo islamico non è mai andato in vacanza) rappresenta però anche una clamorosa manna dal cielo per gli Usa, che possono così sperare di vedere indebolite Mosca e Pechino in una regione fondamentale per il mantenimento degli equilibri globali. Donald Trump e i leader conservatori europei, insomma, hanno ripreso a definire l'islam un problema di fronte ai propri elettori. Forse perché sanno benissimo che in politica estera lo stesso islam radicale può essere sfruttato per indebolire i nemici russi e cinesi...
