Voglio tornare per un attimo a fare il teologo. D’altronde vengo da lì, dall’essere un teologo un po’ rurale, molto rurale. Ieri ho pubblicato un video perculando Greta Thunberg che si è dimessa dal direttivo, cosa abbastanza prevedibile, e poi ho letto il Pistoriale di Moreno Pisto, che invece invita all’impegno, all’azione, alla protesta. Così voglio chiarire perché, da teologo (non religioso: teologo, che è un’altra cosa), ritengo che qualsiasi impegno dedicato a migliorare le cose di questo mondo non solo sia inutile, ma addirittura controproducente. Vi spiego. L’impegno radicalizza. Prendiamo l’Italia. Nessuno si convince mai dell’impegno dell’altro: mai. L’uomo vuole avere ragione, e se pure capisce che ha torto, non lo ammetterà. Perché l’uomo vuole vincere. L’impegno dell’altro serve solo a radicalizzare ancora di più le proprie posizioni. E vale per l’Italia come per la striscia di Gaza.

L’impegno ProPal, per esempio, diventa merce di lotta politica interna: non c’entra niente con Israele e Hamas. Serve a piazzare un amico in Rai, a girare una fiction, a fare clientele, a organizzare sagre e costruire ponti. E intanto la nobiltà dell’impegno per la vita dei bambini morti diventa alibi. Ma quell’impegno radicalizza anche i militari: i soldati israeliani che dicono “vi bombardiamo”, i miliziani di Hamas che fanno il giretto col pick-up e la ragazza uccisa con la faccia da animali nei video sui social. Come animale è Netanyahu, che non si ferma davanti a niente. Il mio pensiero sull’inutilità dell’impegno non è “non prendere posizione”. Io prendo posizione contro entrambi. E so bene che nelle flottille “pacifiste” c’erano persone fotografate accanto a esponenti di Hamas. L’impegno, in questo scenario, serve solo a delegare: il povero civile palestinese, che non c’entra niente, viene bombardato perché i macellai di Hamas hanno fatto lo schifo del 7 ottobre, e Netanyahu ha risposto con lo schifo successivo. E il povero civile delega. E delega pure il povero soldato israeliano, richiamato come riservista, che certo non voleva andare in guerra. E mentre il mondo “si muove”, i bambini continuano a morire.

Cosa succederebbe, invece, se nessuno facesse niente? Io penso che sia l’unica strada. Chi è già lì avrebbe la possibilità di ribellarsi. Gli israeliani potrebbero rendersi conto dello schifo in cui vivono. Così come i palestinesi. Io credo nelle rivoluzioni dal basso. Non credo che il potere sia intoccabile: credo che le rivoluzioni nascano solo dall’indifferenza. Secondo ragionamento: l’impegno a cosa serve? Non riesco a superare la morte di un gatto trovato lontano da casa mia, sbranato dai cani. Non riesco a superare la morte dei miei genitori. Non riesco e non voglio superare nessun lutto. Voglio ricordarli tutti. E allora: come lo supera un lutto una madre che vede morire di fame il proprio neonato? Secondo voi l’impegno cancella? “Così evitiamo che altri muoiano”? No. Non lo eviti. Anzi, impegnandoti ti radicalizzi. Alla tragedia ci pensa ognuno a modo suo, e intanto si fa propaganda. Ma per un mondo migliore non c’è posto: il mondo migliore non esiste. Esiste solo un mondo peggiore, giorno dopo giorno. Lo stiamo vedendo. E allora sì: non fare niente è l’unica strada possibile. Perché solo non facendo niente le persone si rendono conto, finalmente, con che cosa hanno davvero a che fare.