Altro che terra promessa dei conservatori, patria dei Wasp, ovvero gli americani bianchi di origine anglosassone e di fede protestante, degli uomini, sempre bianchi, arrabbiati per i bassi salari e gli immigrati, e degli sconfitti dalla globalizzazione. Dimenticatevi anche il suo opposto perché gli Stati Uniti non saranno assolutamente la Disneyland del progressismo, della diversità, delle libertà individuali. Almeno fino a quando saranno in carica Donald Trump e i suoi adepti, gli Usa faranno di tutto per assomigliare alla Cina. Certo, fuori dalla Casa Bianca non sventoleranno bandiere rosse con falce e martello in bella vista, ma questo è un dettaglio inutile per capire la silenziosa (neanche tanto) mutazione in corso all'interno della prima potenza mondiale. Trump, lo scrivevamo a gennaio, “ha intenzione di riproporre negli Stati Uniti una specie di modello cinese”. Per farlo ha bisogno di arruolare dalla sua parte i grandi colossi tecnologici e di neutralizzare i Leftists, gli elettori o simpatizzanti della sinistra, i suoi ultimi nemici rimasti. Dopo di che The Donald imiterà il presidente cinese Xi Jinping pur continuando a considerarlo il rivale numero uno del Paese.

Ma com'è questo modello cinese che Trump starebbe riproponendo in patria? Comprende almeno un paio di punti, fra cui la carta bianca, o quasi, alle grandi aziende tecnologiche, le cosiddette big tech, le punte di diamante del capitalismo d'ultima generazione made in Usa. Saranno ripagate a dovere ma in cambio dovranno dare il loro contributo in nome dell'interesse nazionale, un po' come accade a Pechino dove i colossi hi-tech rispondono ai diktat del governo cinese in primis per rafforzare il Paese e poi, in un secondo momento, per produrre smartphone, tablet e macchine. Massima attenzione verrà inoltre attribuita al controllo della verità, al concetto di fake news, di narrazione della realtà. Ci sarà un solo messaggio è sarà quello della Casa Bianca. Tutto questo sarà fatto in nome dell'efficienza, della tecnocrazia pura. Ricordate la favola della globalizzazione? “Un tempo molti americani credevano che la Cina sarebbe inevitabilmente diventata più simile a noi semplicemente inserendosi nell'ordine commerciale mondiale da noi instaurato”, ha scritto il New York Times. “Il ritorno di Donald Trump al potere ha chiarito che, per aspetti importanti – l'erosione democratica, l'ossessione per i confini netti, la limitazione della libertà di parola e numerosi altri esempi – l'America sta iniziando ad assomigliare un po' di più alla Cina”, ha aggiunto il quotidiano statunitense in un recente articolo intitolato Trump’s America Is Beginning to Look More Like China, ossia L'America di Trump sta iniziando ad assomigliare sempre di più alla Cina.

Ecco, noi di Mow lo diciamo da almeno un anno che gli Stati Uniti stanno per trasformarsi nella nuova Cina. Altro che fascisti o padrini della democrazia, “il modello cinese di Trump sta trasformando gli Stati Uniti in uno stakeholder aziendale” (cit. Bloomberg) e “Trump sta copiando la Cina” (ancora il Nyt). Cosa significa? Semplice: l'amministrazione Trump sta cercando di progettare una radicale ricostruzione di un capitalismo che assomiglia di più a quello cinese, che consente lo sviluppo del settore privato ma enfatizza la proprietà e il controllo governativi. Il New York Times (ancora lui!) ha rincarato la dose così: “In Cina conoscere i funzionari giusti è spesso un prerequisito anche solo per avviare un'impresa. La stessa cultura del "pay-to-play" si sta metastatizzando oggi negli Stati Uniti. E forse la cosa più pericolosa è che il modello cinese si basa non solo sul favoritismo, ma anche sulla paura: la paura di ostacolare il governo o semplicemente di essere trascurati dalle élite del partito”. Giù il sipario. Benvenuti negli Usa cinesi di Donald Trump.
