Bandiere a mezz’asta, tweet, frasi egocentriche (Matteo Salvini: “Nulla sarà come prima, ora andrò io nelle scuole a parlare”), e analisi politiche sulla violenza negli Stati Uniti. C’è chi sostiene che a uccidere Charlie Kirk sia stato praticamente un fascista figlio di Repubblicani con una passione per le armi, chi un malato di mente, chi un militante di sinistra fidanzato con un trans. C’è chi giudica Charlie Kirk un “martire della libertà di parola” e chi un estremista che diffondeva odio. C’è sempre un modo – e sempre spazio – per essere ridicoli. Come Libero che titola in prima pagina “La firma del killer: Bella ciao” e, ancora peggio, Il Giornale, “L’assassino partigiano”. C’è anche chi esulta, per non lasciare tutti i posti riservati agli idioti alla destra, ricordando le dichiarazioni odiose di Kirk, e chi prova a spiegare che la sua morte è la conseguenza dei discorsi di odio diffusi dalla stessa destra, dimenticando la storia politica della sinistra extraparlamentare, gli omicidi politici, la violenza come strumento necessario, la “violenza proletaria”.

Che Kirk fosse un propagandista era evidente. Turning Point Usa, la sua organizzazione senza scopo di lucro, ha la sua ala politica per le campagne elettorali repubblicane, Turning Point Action, e dal 2012 a oggi il gruppo ha ricevuto donazioni milionarie da pezzi grossi dell’universo Maga e conservatore, forse, secondo alcune testimonianze riportate dal The Guardian, grazie alla mediazione e amicizia tra Kirk e Don Trump Jr., il figlio del presidente Usa. Che Kirk avesse un’inclinazione al dialogo, a prescindere dalle sue qualità di interlocutore (interrompeva spesso, commetteva varie fallacie logiche e sfruttava molto la retorica), è altrettanto vero. Questa tende a scomparire se si pensa alla “post produzione” dei suoi contenuti sui social, dove pubblicava chiaramente – come farebbe chiunque – solo gli spezzoni di video in cui blastava i suoi avversari e si guardava bene dal condividere altrettanto spesso i contenuti in cui perdeva platealmente (per esempio contro gli studenti e i docenti di Oxford e Cambridge).

Ora la battaglia politica di Kirk, il suo tentativo missionario di assaltare e conquistare le casematte del progressismo americano, e cioè i college e le università, verrà portata avanti anche da sua moglie, che nel suo ultimo post, dopo essere intervenuta dagli studi di Turning Point Usa, dove Kirk teneva i suoi podcast, condivide le foto e i video della bara del marito e manda un messaggio a tutti i nemici della sua famiglia: “Il mondo è malvagio. Ma il nostro Salvatore. Il nostro Signore. Il nostro Dio. Lui... Lui è così buono. Non troverò mai le parole. Mai. Il suono di questa vedova che piange riecheggia in tutto questo mondo come un grido di battaglia. Non ho idea di cosa significhi tutto questo. Ma amore, so che lo sai tu e lo sa anche il nostro Signore. Non hanno idea di ciò che hanno appena acceso dentro questa moglie. Se pensavano che la missione di mio marito fosse grande prima... ora non avete idea. Voi. Tutti voi. Non dimenticherete. Mai. Mio marito Charlie Kirk, me ne assicurerò. Riposa tra le braccia del nostro Signore, amore, mentre ti avvolge con le parole che so che il tuo cuore ha sempre desiderato sentire: ‘Ben fatto, mio buono e fedele servitore.’”

Ora la vedova sventola i vessilli di guerra, ma fino a qualche giorno fa la sua pagina Instagram era il modo migliore per comprendere a pieno chi fosse Charlie Kirk oltre gli incontri di boxe dialettica nei college. Alcuni, gli stessi che reputavano Kirk un pericoloso patriarca in erba (aveva solo trentuno anni, abbastanza cinquant’anni fa, ma pochissimi oggi), potrebbero giudicare quello di Erika il profilo di una donna che ha fatto della sua vita un esercizio di subalternità volontaria al marito, una sorta di vita di serie B, fatta di servizio amorevole nei confronti dell’uomo di casa, un continuo ringraziare per una vita che si appoggiava all’attività del marito, alla famiglia, ai figli. Insomma, il profilo di una “trad wife” (le mogli tradizionali, fenomeno diventato virale negli ultimi anni) di successo. Ma è lei a spiegare che non è sottomissione, ma libertà di scelta: “La nostra vita è costruita sul patto e io lo seguo, perché egli segue Cristo”. Un post del 20 agosto è tristemente profetico: “La vita, stranamente, è un conto alla rovescia... il tempo è limitato”. E poi: “Ultimamente le mie foto preferite sono quelle in cui si vede l'inizio di un bacio con mio marito. Il prima. Il mentre. Il dopo.”

Il sostegno è reciproco. Nei post Erika Kirk dava suggerimenti sulla genitorialità e il “retto vivere”: “Pensi di vivere semplicemente. Ma per tuo figlio, il tuo "vivere" è quello che ricorderà. Questa è la loro infanzia. E tu lo stai modellando. Ogni giorno ti viene data la benedizione di poter creare un momento che, tuo figlio ripenserà, cresciuto, alla vecchiaia, sorridendo come si suol dire, "quelli erano giorni”. E Charlie, nel primo commento le mandava un cuore e una bandiera americana. Certo, c’era molto della versione yankee della “famiglia del Mulino Bianco”. E a molti potrebbe sembrare tutto finto. Ma emerge invece una genuinità, nessun vero copione, nessuna costruzione. I figli sono semplicemente ciò “per cui avevamo sempre pregato” e la loro complicità, il loro amore. Ogni post è dedicato a Gesù, al loro matrimonio o ai loro figli. O a tutte e tre le cose insieme. Forse il modo migliore per capire chi è stato Kirk nei suoi ultimi anni di vita, mentre la sua carriera impennava, è guardare il profilo della moglie, così fiera di amarlo, quanto lui era fiero e orgoglioso di amare lei. Un ragazzo di 31 anni che stava vivendo la migliore versione della sua vita, anche se aveva idee diverse dalle vostre. E chi lo ha ucciso, chi gioisce, chi è in lutto, sa che quelle idee resteranno vive. Ciò che è finito, invece, è quel piccolo paradiso, il loro “rifugio in un mondo senza cuore”, una famiglia felice.
