Posto frasi di cordoglio e scoramento per atrocità che vengono commesse a distanza di migliaia di chilometri da me, quindi sono. Ostento un’afflizione che non ha nulla a che vedere con la mia condizione né con la mia vita, quindi merito il plauso digitale del circondario. Oppure potremmo smetterla tutti con questa recita. Non ho mai detto una parola, mai, sul conflitto di cui tutti parlano, per rispetto e pudore, e premetto questo al pensiero che voglio condividere, che non riesco a sopportare la violenza inflitta gratuitamente, non la sopporto neppure sotto forma di finzione, quando si tratta di vederla in un film in cui viene messa in scena la tortura, dunque non riesco a guardarle, le immagini che appaiono sui nostri televisori. Quello che sta succedendo a Gaza per mano di un esercito comandato da un dittatore sanguinario e criminale non riesco a intenderlo, come non capisco il senso, andando indietro nei secoli, della crudeltà dell’impero ottomano quando obbligava i giannizzeri, giovani ragazzini cristiani, a sterminare la propria famiglia, convertendoli all’Islam, e li mandava a morire nelle file del suo esercito come soldati devoti al sultano.

Mi fa gelare il sangue l’idea della morte nelle camere a gas, nei lager, nei campi di concentramento di tutto il mondo, mi fa inorridire pensare alla schiavitù sessuale delle prigioniere di guerra durante la guerra in Bosnia, e in quella del Vietnam. Mi si spezza il fiato se sento che uno squilibrato in Florida ha aperto il fuoco sulla folla causando cinquanta morti (o chi ha recentementre ucciso Charlie Kirk). Il male è uno scempio che ci riguarda tutti, perché tutti spartiamo questa terra imperfetta, divorata dal furore, dalla rabbia. L’insensatezza dell’atrocità umana è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno. Ma questa ridicola credente moralistica di contare qualcosa se ci si unisce al coro di voci disperate per Gaza, o che si levano ovunque per esprimere scoramento e rabbia per tragedie di cui non possiamo capire le cause, mi pare volgare, borghese, farlocca, inutile. Se a questo tanto gridare si unisse il fare, penso ai giornalisti che partono per documentare l’orrore, ai medici, agli operatori sanitari, ai volontari, allora andrebbe anche bene. Diversamente, è solo uno sfoggio di bei sentimenti che ci dovremmo risparmiare, a noi e agli altri. Non so a cosa serva questo sbracciarsi, dichiararsi a favore dell’una o dell’altra causa (a me stanno a cuore entrambi quei popoli, aggressore e aggrediti), mentre ce ne stiamo seduti nelle nostre stanze, o nei nostri uffici, sicuri che domani la strada di casa ci sarà e che nessuno dei nostri cari è in pericolo di vita.

Certo che ci fa del male, assistere allo sterminio di un intero popolo, ma dover per forza esprimersi sull’argomento e unirsi vanamente al dibattito, nella stragrande maggioranza dei casi senza conoscere nulla in proposito, mi pare un ricatto retorico. Finto. Non siamo tutti colpevoli. Le responsabilità sono personali. Le scelte dei governi sono dettate dall’interesse nazionale di pochi attori che detengono i capital finanziari, orientate da connivenze, corruzioni, omertà e giri di potere. Noi contiamo nulla, o quasi. Trovo sia una mancanza di rispetto fingere dolore per la morte di chi non conosciamo, per motivi oscuri. Dovremmo occuparci della parte di mondo che ci è stata consegnata, con umiltà e gli strumenti che abbiamo. Tacere di fronte a ciò che non possiamo comprendere sarebbe più decoroso di questa continua, grottesca pagliacciata del cordoglio, mentre in Congo, in Etiopia, a Gaza, in Nigeria, o anche dietro a un muro di Roma o Napoli, c’è chi muore.
