Massimo Fini, borderline da una vita, è abituato a levar la propri isolata voce mentre l’orchestra di casa nostra insegue l’ultima polemica del momento. Questa volta lo ha fatto aprendo i riflettori sul Kosovo e, di conseguenza, sulla Bosnia, quadranti dimenticati dal pubblico dibattito ma che le dimostrazioni di questi giorni, non senza qualche violenza, dei serbi kosovari hanno riportato all’attenzione per lo meno di chi non è distratto. La regione ex serba del Kosovo, dichiarata Stato indipendente dopo l’intervento “umanitario” della Nato del ’98-’99, è andata a elezioni, ma la minoranza interna, che è etnicamente serba (e che in alcune zone è in realtà maggioritaria), non accetta, come non ha mai accettato, la legittimità di un ordine ideato e difeso dall’Occidente, che tiene lì un corpo di protezione, il Kfor, nel quale sono presenti anche militari italiani. Per Fini (che segue la politica estera con particolare passione, vedendoci più lungo di altri, lui autore di “Cieco”, Marsilio, la sua ultima opera autobiografica), il pericolo che il malcontento covato sotto la cenere degeneri in un nuovo conflitto interno è più che reale. Vediamo perché.
Perché in Kosovo si rischia un’altra guerra? E per quale motivo, come hai scritto sul Fatto, dovremmo “ringraziare” di ciò la Nato?
La questione del Kosovo parte dalla guerra alla Serba nel 1999. C’era all’interno dello Stato serbo una contrapposizione fra gli albanesi del Kosovo che nel tempo erano diventati maggioranza, e la Serbia. I kosovari, come sempre nelle guerre d’indipendenza, facevano terrorismo, secondo me legittimo, e infatti il loro ex capo Hashim Thaci è oggi a processo al tribunale internazionale dell’Aja. Era comunque una questione interna che avrebbe dovuto essere risolta all’interno, secondo i reali rapporti di forza sul campo. Gli americani invece intervennero avendo deciso che i kosovari erano dalla parte della ragione e i serbi dalla parte del torto.
Dando luogo poi a un Kosovo indipendente in cui monta la guardia la Nato.
Naturalmente questo i serbi kosovari, che in alcune regioni sono in maggioranza, tanto è vero che alle ultime elezioni non sono andati a votare come dimostra l’affluenza al solo 3%, non l’hanno mai accettato.
Le dimostrazioni di questi giorni quindi derivano dal fatto che la presenza della Kfor, il contingente Nato, e l’ordinamento imposto dall’alto, sono sempre stati privi di una legittimazione popolare, almeno da parte serba?
Certo, del resto l’indipendenza del Kosovo che non è riconosciuta da 91 Stati, dalla Russia in giù. Ci voleva poco a capire che prima o poi sarebbe esplosa la polveriera kosovara. La Nato, di cui noi italiani facciamo parte, è stata la manu militari che ha imposto una situazione illegittima. Per questo dobbiamo, diciamo, ringraziarla. Ora, sul piano di fatto, potrebbe intervenire ancora, ma io penso sia sconsigliabile: ci sono state, sì, manifestazioni violente, ma fino a un certo punto. In futuro spunteranno i kalashnikov.
L’Unione Europea che ruolo ha? La Serbia vorrebbe entrarci da anni.
Vorrebbe entrarci il governo di Vucic, l’attuale presidente, ma c’è una larga componente di opposizione che non lo vorrebbe affatto. Anche di questo credo si debba tener conto.
Anche la vicina Bosnia è a rischio incendio?
La Bosnia è uno Stato mai esistito come tale, che è stato imposto ancora una volta dagli americani, dividendola in tre settori: musulmano, croato e serbo. Siccome la dirigenza dello pseudo-Stato è musulmano, i serbi sono bistrattati. Non è come nel caso del 1991 della Croazia che volle separarsi dalla Yugoslavia in disfacimento e l’indipendenza gli fu accordata. Anche i serbi di Bosnia allora dissero di voler riunirsi alla madrepatria, ma questo non fu accettato, e ci fu tutta la massacrante guerra che conosciamo e che ha portato all’oggi. Una Bosnia multietnica a guida musulmana poteva essere concepita in una Yugoslavia unita e multietnica, miracolo che prima aveva compiuto l’Impero Austro-Ungarico e poi il maresciallo Tito.
Ma ci sono elementi per sostenere che la Bosnia si stia surriscaldando, magari complice la presenza di jihadisti islamici?
Certo che ci sono, fino alla costa adriatica con cellulle Isis pronte a colpire quando lo riterranno opportuno, a soli 100 km dall’Italia.
Un rischio di cui nessuno parla.
Beh, la conosci la stampa italiana, no?
In tutte queste vicende si parla di odii e frustrazioni etniche. Ma le etnie, allora, esistono solo in certi contesti, come questi, o ha ragione il ministro Lollobrigida a parlare di “etnia italiana”?
L’etnia italiana non esiste, perché noi siamo stati conquistati da tutti. Siamo un coacervo di etnie, chiamiamole così visto che non si può più usare la parola “razza”. Non c’è in questo senso un’identità italiana. C’è invece un’identità serba.
La Nato è viva e vegeta e combatte in mezzo a noi, nonostante ci sia chi, come te o Sergio Romano, ne sostenga da tempo l’anacronismo, fin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ma sono soltanto gli americani a non voler mollare l’osso, o c’è anche una corresponsabilità degli alleati, anche di noi italiani che per esempio consideriamo ormai l’insediamento di basi Usa sul nostro territorio come fosse parte del paesaggio?
Noi non abbiamo più nessun obbligo di restare nella Nato, per la semplice ragione che la Nato era stata fondata come organizzazione difensiva, cioè se uno Stato membro veniva aggredito gli altri appartenenti erano tenuti a intervenire per difenderlo. Ma siccome non è più un’alleanza difensiva, visto che tutte le guerre degli ultimi vent’anni e oltre, dalla Serbia all’Afghanistan all’Irak alla Libia, sono state scatenate non in senso difensivo (che cavolo di pericolo rappresentava la Libia di Gheddafi, per fare l’esempio più semplice?). Il suo stesso statuto è stato violato, quindi noi dovremmo uscire dalla Nato.
È realistico, politicamente, questo?
Basterebbe la volontà di un governo, ovviamente, ma non di un governo come questo, che ha osato dire che le tasse sono un pizzo di Stato. Ci vorrebbe un governo serio. Ora, è vero che noi subiamo tutti, non abbiamo neanche la vitalità dei francesi che almeno protestano contro l’aumento dell’età pensionabile, però, sai, goccia dopo goccia… Terribile è l’ira del mansueto, come dice la Bibbia. O magari a un certo punto si potrebbero chiamare i mercenari della Wagner.
Ok, questa è una battuta.
No, non è una battuta, per niente.
Sei diventato filo-russo?
No, per nulla. Ho solo detto che, siccome bisogna dire sempre sull’Ucraina che c’è un aggressore e un aggredito, bene, ma queste distinzioni non venivano fatte quando eravamo noi ad aggredire i Paesi che ricordavo prima.
Resta che, tornando alla Nato, quest’ultima può fornire anche un comodo alibi all’Europa per scaricare la responsabilità della propria difesa militare. O no?
No, perché questo significa restare servi degli Americani per altri cent’anni. Il nostro interesse è proprio il contrario, e lo disse Angela Merkel cinque anni fa: “Gli Americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a fare da soli e a difenderci da soli”. Il che vuol dire anzitutto abolire quell’anacronistico divieto per la Germania di avere la bomba atomica. Ce l’hanno, è vero, i francesi, ma sono pochissimo affidabili, visto che hanno perso tutte le guerre, anche se l’ultima hanno fatto finta di averla vinta.
Un domani, chissà quando, vuoi per il riarmo tedesco che è cominciato (sia pur senza atomica), vuoi per l’avanzata della Cina con cui bene o male non si può non aver rapporti, visto che è dappertutto (vedasi Africa), si aprirà un varco in cui l’Italia, ammesso abbia mai un governo non supino, possa infilarsi per sfruttare il cambiamento dei rapporti di forza?
La Cina è un mercato enorme che entra anche da noi, e infatti quando Di Maio aprì alla Via della Seta, che è un’idea intelligente, gli americani dissero niet, e anche adesso, mi pare sentendo al Meloni, è una strada proibita. Noi insomma continuiamo ad essere servi degli Americani, i quali ancora pensano di essere, ma non sono più, la più grande superpotenza geopolitica. I rapporti di forza stanno già cambiando. Non c’è solo la Cina: c’è anche l’India, c’è il Sudamerica, dove sono stufi dell’egemonia americana. Il presidente brasiliano Lula si è rifiutato di mandare armi in Ucraina, e recentemente ha precisato che il Brasile non ha nulla a che fare con questa guerra. In ogni caso, se devo scegliere, io preferisco una parziale sottomissione alla Cina che una totale sottomissione agli yankee. Anche perché i cinesi, le guerre che poi finiscono sui piedi a noi, non le fanno.